| Chi sono? Da dove vengo? Dove desidero andare? Cosa mi fa essere quello che sono? - e, magari anche a trovare abbozzi di risposte sempre più sensate. Non è indispensabile per questo frequentare monasteri, conventi, santuari, luoghi di spiritualità: è ben più importante fare spazio al silenzio interiore ed esteriore, ricorrere a letture non superficiali e di ampio respiro, fermarsi a «leggere» i propri moti interiori, a discernere ciò che ci fa star bene o star male, a riconoscere i propri limiti e le proprie potenzialità. In questa non facile operazione, lo stacco dall'attività in cui finiamo per identificarci quotidianamente è di grosso aiuto: sovente infatti il lavoro - e paradossalmente anche la sua forzata assenza - funziona come alibi per non pensare a se stessi o come anestetico per attutire il dolore che l'esistenza ci riserva. Certo, anche lo svago, il divertimento può avere questa funzione di stordimento, di negazione della riflessione, ma in questo senso le restrizioni che la crisi ha prodotto nelle possibilità di vacanza spensierata possono essere un aiuto a recuperare in profondità e autenticità tesori ormai irraggiungibili in termini di tempo e mezzi a disposizione. Il secondo ambito in cui la crisi e le sue ricadute sulle vacanze possono funzionare da stimolo arricchente per la nostra umanizzazione è quello del rapporto con gli altri e con l'ambiente: la sobrietà che percepiamo come imposta dalle circostanze avverse ha solo risvolti negativi? È un impoverimento del nostro essere uomini e donne degni di tal nome? Che ne faccio dell'altro che mi sta accanto, dei membri della mia famiglia, degli amici, dei colleghi di lavoro, delle persone che incrocio quotidianamente? Quali incontri e quali rapporti voglio davvero coltivare? Che rispetto ho per la dignità di ogni essere umano? Quali responsabilità sono pronto ad assumermi nei confronti di chi frequento abitualmente o di coloro verso i quali ho assunto impegni precisi? Che tipo di solidarietà riesco a esprimere e a vivere nei confronti dei più deboli, delle vittime di ingiustizie e violenze, dei dimenticati dalla storia? Domande che troppo facilmente evitiamo di porci quando siamo assillati dalle cose da fare, dai guadagni da conseguire, dalle lotte da combattere, dalle concorrenze da vincere. Domande che però attendono risposte se non vogliamo smarrire la nostra qualità umana, unica e irripetibile per ciascuno. Infine, collegata alla qualità dei rapporti con gli altri, c'è la dimensione del rapporto con le cose, con la creazione, con l'ambiente e, di conseguenza, con le generazioni future: che immagine ho del mondo, della terra su cui viviamo e di cui ci nutriamo? Che cura ho delle risorse naturali ricevute in eredità da chi ci ha preceduto e destinate a essere condivise anche con quanti verranno dopo di noi? Il mio approccio è di sfruttamento ottimale per i miei pretesi bisogni o è di sollecitudine verso un'armonia creazionale che genera benefici per tutti? In sostanza, che mondo voglio lasciare dopo il mio passaggio? Certo, «vacanze» di questo tipo possono apparire impegnative, troppo esigenti, contrarie alla nostra voglia di staccare la spina, ma se vissute con consapevolezza e responsabilità, si rivelano autenticamente liberanti, capaci di rigenerarci alla nostra condizione più vera: quella di esseri umani custodi dell'altro e del creato | |
domenica 26 agosto 2012
Domande inevase
martedì 21 agosto 2012
La canizie sprovveduta
La longevità però non è un valore assoluto: non basta vivere a lungo, ma bisogna vivere bene, con consapevolezza.
Io non penso mai alla morte, è una dimensione di cui non me ne frega niente, quello che mi spaventa è il soffrire inutilmente: penso che la vita ad un certo punto, per mille motivi diversi, possa stancare, e che le persone debbano essere libere di poter scegliere di spegnere l'interruttore.
La longevità culturale
Il Giappone è, con l'Italia, la nazione più longeva al mondo, con 20 centenari ogni centomila abitanti, ma l'isola è un record in sé: la durata media della vita è 81,2 anni e centenari sono il 20% della popolazione, con tassi di malattia - tumori, malattie cardiovascolari e perfino osteoporosi - inferiori rispetto al resto del mondo. La loro ricetta si basa su due pilastri: lo «Ishokudoghen», che significa il cibo è la tua medicina, e lo «Yuimaru» che indica il senso di appartenenza alla comunità. L'alimentazione degli isolani è basata su frutta, verdura, soia e i suoi derivati, pesce, il tutto integrato da curcuma e dall'alga konbu. Dunque seguono una dieta povera di calorie (circa 1100 al giorno) e ricca di aminoacidi, vitamine, sali minerali. La prima regola è quindi mangiare poco e vegetariano, per mantenere in forma il corpo. Ma altrettanto importante è mantenere in forma la mente, con la consapevolezza di essere necessari e importanti per la famiglia e la società.
A Okinawa gli anziani non conoscono la solitudine: gli ultranovantenni continuano ad avere un ruolo sociale e sono così rispettati da essere invogliati a sviluppare spiritualità e pensiero. Sono i saggi, amati e onorati.
Molti studi dimostrano che mantenere interessi culturali, suggestioni intellettuali e artistiche aiuta la mente a rimanere vigile e attiva e, salvo casi di malattie neurodegenerative, salvaguardare la sua salute.
Io sono convinto che proveremo scientificamente che parte della longevità è legata alla capacità di essere curiosi e mantenere le passioni intellettuali e le relazioni umane; oltre che all'alimentazione frugale.
Del resto i dati di Okinawa sono chiari: i benefici sulla longevità si perdono quando i suoi abitanti emigrano. Per vivere a lungo e bene, allora i geni hanno un'influenza limitata: occorrono condizioni di vita generali, comportamenti individuali e cultura. Lo ripeto: credo che la longevità sia un patrimonio, qualunque sia la nostra convinzione su ciò che accade dopo la sua fine. È un peccato sottovalutare il periodo che trascorriamo in questa vita.