domenica 30 dicembre 2012

La morte della morte

Più di cento donne ammazzate in un anno, spesso dopo lungo stalking. Uomini inseguiti e massacrati per uno sberleffo, un insulto, una prepotenza alla guida o per uno stupido furto. Gli assassini d'impeto o covati fanno vittime quanto e più del crimine organizzato. Dietro a tutto ciò - salva la fantasia di un parroco che riesce a immaginare provocanti le vittime stremate da una persecuzione - c'è un senso della morte sfumato dalla sacralità alla banalità, dalla scelta estrema al facile colpo di spugna che spazza via disegni o scritte su una lavagna che non si è capaci di sopportare.



Sono fondamentali le considerazioni sul massacro di donne - talora amate in modo malato e ossessivo - ma non si deve trascurare l'origine più profonda del gesto omicida in generale in questa epoca: lo svuotamento dell'idea di morte, strumento risolutivo con impressionante leggerezza di qualunque fatica metta a repentaglio l'egoistica quiete, più che un'improbabile serenità, del vivere. La morte è per molti orfana della sacralità che emanava, del mistero che la contornava e ne accentuava la percezione. Vediamo uccidere e poi costituirsi senza pensiero di pena per la vittima (talora è rancore, lacrime che gridano: ecco dove mi hai portato), senza pentimento né tormento, indifferenza per il carcere, spossatezza dopo l'annientamento dell'ossessione. È successo tutto come se fosse stata la lettura di un libro fino al capitolo che mette paura e orrore, mette alla prova la capacità di reggere e misurarsi: allora, anziché passare oltre, scivolare a un altro capitolo, si butta, si calpesta, si brucia l'intero libro.



Se qualcosa è rimasto immutato nell'uccidere quel qualcosa sta di casa nel crimine organizzato, dove l'assassinio è strumento di lavoro, mezzo per garantirsi il predominio, punire tradimenti o sgarri. Una cosa soltanto è cambiata, si è «affinata», quando alla regola che rispettava donne e bambini si è sostituita una logica appresa dal terrorismo: tremate tutti, non ci fermiamo di fronte a nulla, nulla ci fa paura. In realtà una paura forte la provano: paura della cultura della legalità e della cultura in genere, da qui l'odio per i Luigi Ciotti, i Roberto Saviano.



La cultura è sparita dalla morte nel quotidiano, maneggiata come straccio sulla lavagna, gesto del bimbo che si copre gli occhi «e non esiste più il pericolo», dito ansioso sul telecomando per mutare il film spiacevole dentro cui si vive, come Peter Sellers in «Oltre il giardino». L'omicidio ha sostituito con agghiacciante naturalezza la spallata, la scazzottata di un tempo. Lo sciagurato che si sentiva deriso al bar per le intemperanze della moglie ristabiliva l'onore di lei e la dignità propria riempiendo di botte l'incauto davanti a tutti. Oggi tace, va a casa, prende la pistola, torna con quel «telecomando» in tasca, e spara: con l'uomo che offendeva il proiettile cancella magicamente anche le corna. Il problema non c'è più. Ne verrà un altro, d'accordo, con processo, carcere, ma è un libro nuovo, intonso, senza gravami assillanti.



Fragili personalità sono sempre meno attrezzate ad affrontare avversità, accettare sconfitte: ciò che un tempo era delusione, amarezza, oggi è ira e rancore,se sto male la colpa non può che essere degli altri. Mia moglie non mi vuole più perché bevo e sono violento, ma è colpa sua se bevo e sono violento, la odio ma è mia, quindi cancello tutto, la pistola come il tasto reset. In questa lievità dell'ammazzare giocano spesso un ruolo alcol, anfetamine, cocaina, con i cervelli sfrangiati dalla polvere e consegnati alla perdita di controllo e all'onnipotenza.



Alla morte senza sentimento ci si è abituati perché è ovunque senza orpelli né timidezze, è nel film d'azione o nel thriller, è nel continuo rimestare la cronaca nella tv d'intrattenimento, è spettacolo del pomeriggio tra un monologo di leader di partito e lo sguardo azzurro di zio Misseri, è nella sbrigativa criminologia da teleschermo e nella passione morbosa per gli «scavi» dei medici legali . È una sfilata di routine su YouTube, dove si può ammirare un pestaggio o la spinta che lancia una vita sui binari della metro. La morte ha perso rispetto a ogni livello, anche nelle più alte istituzioni. Di fronte al corpo di Eluana Englaro, ridotto a un interminabile inverno dal coma vegetativo, di fronte a una morte scontata per anni, non un ciarlone da bar ma l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non riuscì a trovare altro aggancio alla vita se non quello sessuale: «Mi dicono i medici che può perfino restare incinta».



La società è spaccata in due. Di qua la vulnerabilità di anziani e malati e di quanti - medici, paramedici, volontari, parenti, sacerdoti - hanno a che fare giorno su giorno con il transito alla morte, dove ogni addio è unico, carico di dolori e fatiche, speranze e pace. Di là gli altri, per i quali reale e virtuale sono amalgamati, dove l'assassinio guardato e riguardato in Internet è insieme cronaca e spettacolo, sorpresa e routine, emozione e assuefazione. Nelle case contadine russe, racconta la letteratura, i bambini giocavano nell'unico stanzone, dove la mamma cucinava, e ogni tanto andavano al centro di esso per dare una carezza al nonno che stava passando a miglior vita. Non era assuefazione, era «conoscenza» che accendeva rispetto.

Sempre meno si apprende il senso della vita e della morte - e del passaggio dall'una all'altra - dal dialogo con narrativa, musica, arte oltre che dai lutti. La morte della Morte sta avvenendo per inedia: prosciugata di cultura, mistero e significati.  

venerdì 7 dicembre 2012

Go back

 Il perché dello sconsolante ritorno al passato cui stiamo assistendo è forse da ricercare più nei meandri della mente umana che in quelli della politica. L'angoscia per il tempo che se ne va, la paura di veder spegnere accanto a sé le luci della ribalta, la convinzione di essere ancora il migliore anzi l'unico, la sete di rivincita... Chissà. Cose che appartengono al mistero della psiche. Ma forse ancora più misteriosa è la poco virile accondiscendenza di chi permette la messa in azione, all'indietro, di questa pericolosa macchina del tempo. Di chi non capisce che, assecondando e sottomettendosi ancora una volta, non rende un buon servigio né a se stessi, né al Paese, né alla propria parte politica, e ultimamente neppure al proprio capo.  

giovedì 6 dicembre 2012

Ancora la zattera di T. Gericault

 

La zattera della Medusa



Compiuta nel 1819 da Théodore Gericault  e conservata al Louvre, è uno dei capolavori-simbolo del Romanticismo francese.  La zattera della Medusa si riferisce ad un episodio di attualità di cui Gericault rimane profondamente impressionato. Nel 1816 il governo manda la nave ''Medusa'' in Senegal per riaffermare i diritti della Francia. L'incompetenza del capitano ha portato al naufragio. I passeggeri e l'equipaggio si ammassano su una zattera di fortuna che va alla deriva per parecchi giorni. Dopo episodi di fame, paura, follia, suicidi, atti di cannibalismo, rimangono 15 superstiti, recuperati dalla nave ''Argo".
Géricault si appassiona all'episodio, iniziano le sue ricerche sui superstiti, gli studi anatomici sui cadaveri , gli studi sull'acqua e della zattera da lui ricostruita. Costruisce un groviglio, un ammassamento di corpi, cadaveri e moribondi, che è il frutto di un lungo lavoro di assemblaggio, studi di figure, articolazioni e frammenti condotti in atelier. Esegue molti bozzetti prima di arrivare all'idea finale.
La composizione si regge sullo schema astratto di due triangoli con gli assi divergenti: uno ha l'asse corrispondente all'albero della zattera, l'altro è quello della piramide umana, culminante con l'uomo che agita i panni. Già dal punto di vista compositivo questa divergenza imposta tutto il quadro sul principio dell'instabilità, accresciuta dal disordine, dalle travi sconnesse e dai corpi abbandonati. L'unità classica della composizione (la composizione piramidale risale al Rinascimento) viene spaccata, lacerata.
Le figure sono classicheggianti, sia per le pose (riprese daMichelangelo, da Raffaello, e da studi condotti in atelier) che per la tecnica (disegno preciso, studi preparatori, chiaroscuro studiato).
Ma è romantico l'effetto drammatico, il senso della tragedia e della disperazione.
C'è un crescendo di movimento dai cadaveri in primo piano, ai corpi che si aggrovigliano, alle figure che si agitano. È unespediente psicologico per avere l'effetto di aumento diangoscia mista a speranza dalla desolazione delle figure in primo piano (morte o rassegnate) a quelle che si agitano.
Esiste anche un contrasto di due correnti di movimento opposte: il movimento della marea umana e quello delle onde in direzione contraria. La nave è lontanissima, sembra irraggiungibile. Ma viene enfatizzato il tema della lotta eroica dell'uomo contro le forze immense della natura.
Le figure non sono viste come corpi emaciati, deperiti per la fame e gli stenti, ma sono corpi vigorosi, pieni di energia, potenti e in contrasto con quelli abbandonati e distesi. Più che come vittime, nonostante le espressioni di dolore e disperazione vengono visti come eroi che lottano per sfuggire alla morte.
L'opera ha suscitato grande scalpore soprattuto per l'infrazione deliberata delle regole e moduli neocassici. I principi di chiarezza, ordine, regolarità serenità razionale del neoclassicismo sono scovolti dalla violenza del chiaroscuro, dal senso di caos, di tragedia e disperazione.
La zattera è stata vista anche come metafora politica della crisi della Francia dopo il crollo del regime napoleonico.


La zattera della Medusa di Gericault

 Il destino del centrodestra riguarda tutti. Anche quelli che non lo votano. Una domanda di rappresentanza politica, fino a ieri maggioritaria, rischia di non incontrare alle prossime politiche un'offerta adeguata e sufficiente. Chi ha a cuore la solidità di una democrazia non può essere indifferente di fronte al disagio di una parte di elettorato tentata dall'astensione o dal voto di protesta.
Se c'è, come crediamo, un gruppo dirigente liberale e democratico all'altezza del compito, ma soprattutto responsabile, deve avere la forza di separare il proprio destino politico dalla deriva solitaria e resistenziale del proprio capo.
L'incerta democrazia italiana dell'alternanza ne avrebbe un sicuro beneficio. Così la zattera della Medusa troverebbe finalmente un approdo.