mercoledì 29 marzo 2017

Chiara e gli altri diciottenni filosofi «Le Olimpiadi? Con Nietzsche»


I migliori d'Italia

Sono gli 85 studenti di filosofia migliori d'Italia che martedì mattina a Roma si sono sfidati nella finale italiana delle Olimpiadi di Filosofia, edizione numero 25, la più numerosa di sempre con oltre 10mila partecipanti. Nel 2015 erano stati appena 4mila. «È un'iniziativa che negli ultimi anni coinvolge sempre più scuole, a dimostrazione che la filosofia è viva e che grazie a questi ragazzi c'è ancora da sperare», sorride il presidente della commissione Franco Coniglione, ordinario di Filosofia all'Università di Catania, che nel pomeriggio di ieri ha letto e giudicato gli 85 saggi. Questa mattina al ministero dell'Istruzione si conosceranno i nomi dei due vincitori che il 25 maggio rappresenteranno l'Italia a Rotterdam nella finale mondiale. Tema dell'anno: la tolleranza. E nella patria di Erasmo non è un caso. Nel 2019 poi sarà Roma a ospitare tutti i giovani filosofi del mondo.

Filosofia e futuro

«La filosofia ci è necessaria, ti aiuta a vivere», dice Chiara, liceo Mario Pagano a Campobasso. Capelli rossi e occhi verdi, lei ha scelto Russell e «la finalità della filosofia» e per spiegarlo lo ha scritto in tedesco, «è la lingua che amo e studio da un anno: farò medicina a Monaco». Il suo compagno di scuola Giuseppe, 17 anni, ha preferito l'italiano e De Mauro. Entrambi ringraziano la loro prof di filosofia Dora Iafanti: «Senza di lei non saremmo qui, ci ha fatto amare questa materia fin dal primo giorno». Così come Ilaria, quinto scientifico Volta a Reggio Calabria (anche per lei Russell, in inglese): «Annaemi Montalto: l'ho avuta solo in terza, ma è merito suo se oggi la filosofia è la mia passione, mi piace vedere le cose da più punti di vista». Ilaria ama Schopenhauer e il pianoforte: «Sogno di andare a Firenze a studiare architettura». La pediatria è invece nei sogni di Flavia, 18enne da Piacenza, liceo scientifico Melchiorre Gioia («magari in Africa»): in filosofia ha 9, ma, «non la amo particolarmente, però mi piace pensare e studiare il pensiero, il mio filosofo preferito è Feuerbach e la sua idea di religione come alienazione». Anche lei ringrazia la prof Marisa Cogliati.

Passione trasmessa

Perché dietro a questi 85 giovani filosofi c'è sempre un insegnante e una forte passione trasmessa. È felice la prof Stefania Montecchio, liceo scientifico Cattaneo di Torino, alla sua prima finale: «Le Olimpiadi sono una cosa molto bella, servono a creare un sentimento legato a una scrittura più creativa e meno al compito in classe». E poi, «sono un modo per incontrarsi tra noi docenti e scambiarsi esperienze: un arricchimento per tutti».

«Vorrei fare il filosofo»

Intanto, Chiara, Riccardo e Pasquale continuano la loro discussione su fede, regole, Pascoli, Campana. Chiara, V linguistico Mamiani, già pensa all'Erasmus a Barcellona (il suo saggio lo ha scritto in spagnolo) e immagina un futuro tra arte e turismo, «voglio applicare la filosofia nell'ambito culturale». Riccardo e Pasquale sono invece gli unici due che nel loro futuro vedono la filosofia pura. «Vorrei fare il poeta», dice il marchigiano, barba, capelli lunghi e ricci, ultimo anno allo scientifico Filetto: «A scuola si parla solo di calcio, io vorrei andare alla Normale di Pisa, ma so che quella del filosofo non sarà una strada facile».

La rivoluzione dei 5 Stelle contro la conoscenza

Poche vicende descrivono bene quanto la battaglia sui vaccini la crescente egemonia dei Cinque Stelle nel Paese, con il rovesciamento della gerarchia tra credenza e conoscenza. La querelle coinvolge ormai fazioni di militanti e genitori spaesati, e imperversa dal Lazio alla Puglia, dalla Toscana alla Lombardia, toccando nella vita d'ogni giorno una platea fragile come i nostri bambini in uno scenario delicato come le scuole materne: i livelli di sicurezza cominciano a vacillare in molte comunità.

Capaci di debellare malattie terribili in un passato ancora recente, decisivi nel balzo in avanti dell'umanità verso una vita più lunga e sana, i vaccini vengono ora chiamati in causa quali intrugli responsabili di autismo e patologie varie, buoni solo ad arricchire Big Pharma, il diabolico mostro a molte teste dell'industria farmaceutica. Prove? Zero. Scientificamente è come affermare che la terra è piatta, ripetono (spesso inascoltati) virologi di fama. Non solo: il complotto farmaceutico non sta in piedi neppure sul piano logico; la lobby del farmaco guadagnerebbe infatti, assai più che coi vaccini, con le medicine per curare malattie risorte proprio a causa delle mancate vaccinazioni. Insomma, in società dotate d'un normale tasso di razionalità i vaccini dovrebbero essere politicamente neutri: nella nostra, sono un formidabile indicatore di nuovi comportamenti. E mutata egemonia. «Se tu accedi a un bagaglio di informazioni giuste, puoi fare prevenzione da solo», sosteneva Beppe Grillo in un volume di dialoghi con Dario Fo e Gianroberto Casaleggio edito da Chiarelettere.

È verosimile che i genitori «No-Vax» non siano tutti grillini. Ma tutti risentono di un clima nel quale la credenza fa premio sulla conoscenza, perché «uno vale uno» anche in medicina e, appunto, basta studiarsi qualche schermata di Internet per fare «prevenzione da solo». La chiave per capire la natura del Movimento pentastellato e la sua sintonia con lo spirito del tempo sta forse qui, e chiarisce, ad esempio, perché risulti utile ai grillini silenziare non un giornalista o l'altro ma il giornalismo indipendente come funzione (a prescindere da quanto bene o male la funzione venga esercitata dai giornalisti).

Questa egemonia innerva ciò che il sociologo Gerald Bronner chiama la «democrazia dei creduloni» (uno studio nato in Francia ma assai sovrapponibile ai nostri populismi). E si nutre del passaggio diretto — disintermediato — delle credenze dal vertice alla base senza filtri tecnici (lo scienziato, l'economista, il giurista, ma anche il giornalista che a scienza, diritto ed economia si rivolge come fonti per valutare la plausibilità di in una notizia).

Scardinata l'intermediazione, tutto è plausibile: che la cura Di Bella sia utile e l'Aids una bufala, che le mammografie minaccino le donne e le scie chimiche tutti noi, che Pinochet sia venezuelano e il reddito di cittadinanza agevolmente sostenibile in via strutturale. Persino l'idea che lo stadio della Roma venga realizzato «senza favori ai palazzinari» è credenza, perché tagliando metà cubature non si faranno opere pubbliche fondamentali rendendo forse impraticabile il progetto(ma per allora sarà passato abbastanza tempo da scaricare la colpa su oscure burocrazie).

La conoscenza oggettiva, tecnica, diventa dunque un patrimonio esoterico e antidemocratico. Il grottesco rimasticamento della rivoluzione culturale cinese che ha spinto Grillo a vagheggiare giurie popolari contro i giornali e riti di umiliazione dei direttori pare, più che un lapsus, un messaggio: chiunque sa, chiunque detenga il potere della conoscenza vi sta fregando, la scienza è assoldata (Ilaria Capua è dunque una «trafficante di virus», la Levi Montalcini una «vecchia meretrice»). La «vera» verità è una convinzione diffusa che discende dal capo al popolo. Via web. Se davvero uno vale uno, non c'è scienza che possa farlo valere due. Ne consegue l'ingovernabilità di una società complessa (che si basa invece sulla fiducia nelle altrui competenze: se salgo su una macchina mi fido che chi l'ha progettata non la faccia esplodere...). Ma non a caso il grillismo si propone la riduzione di tale complessità a decrescita felice. Rousseau, spirito guida dei grillini, nell'«Emile» teorizza la santa ignoranza. Che oggigiorno comporta un bel vantaggio: l'impermeabilità a scandali e contraddizioni, a Roma come a Genova o a Quarto, perché la base «crede». Se ha ragione Bronner, se «credere è molto più economico che ragionare», i fedeli dell'Elevato stanno risparmiando un sacco di energie per i giorni cupi.


sabato 25 marzo 2017

Il discorso improprio dei grillini

Con i parlamentari grillini è arrivato sulla scena un tipo affatto nuovo di personale politico. Un personale politico in maggioranza giovane che in teoria dovrebbe corrispondere alla novità presunta positiva della loro azione e del loro programma. In pratica però le cose non sembrano stare proprio così, dal momento che almeno nella forma, nel modo di esprimersi, quei nuovi parlamentari tendono irresistibilmente a imitare, addirittura esasperandoli, alcuni aspetti tipici del politico italiano tradizionale. Primo fra tutti la sostanziale vaghezza dell'eloquio. Sicché ciò che specialmente colpisce dei deputati e dei senatori 5 Stelle finisce per essere la loro marcata impudenza, soprattutto quando vengono interrogati su cose che li riguardano. Allora rispondono a vanvera, svicolano, spesso replicano dando più o meno esplicitamente della canaglia a chi gli ha fatto la domanda. Sempre peraltro con l'aria di dare una risposta perfettamente appropriata e con una perentorietà dai toni ultimativi.

Un esempio tratto dalla cronaca degli ultimi giorni. È noto che con il sistema elettorale proporzionale al quale sembriamo sciaguratamente avviati, nel prossimo Parlamento un governo potrà nascere solo dall'intesa tra partiti diversi. Ovvia dunque la domanda agli esponenti del partito di Grillo, che tra un anno ha buona probabilità di essere il partito di maggioranza relativa: «Voi 5 Stelle con chi cercherete un'alleanza?».

Risposta d'ordinanza dei grillini: «Con nessuno. Sottoporremo il nostro programma a tutti, e chi ci sta ci sta. Non faremo certo accordi o compromessi». Una risposta davvero degna della serie «Pinocchio vive e lotta insieme a noi». È del tutto naturale e risaputo, infatti, che se un qualunque partito si orienta a votare il programma di governo sottopostogli da un altro — cioè in pratica a entrare con lui nella maggioranza — esso vorrà certamente avere qualcosa in cambio. O posti o la disponibilità a far passare provvedimenti che gli stanno a cuore, dal momento che nessuno dà nulla per nulla: nella vita accade il più delle volte, in politica sempre. I candidi parlamentari dei 5Stelle fingono invece di non saperlo. Immagino al solo scopo di sottolineare la loro immacolata diversità dagli altri. Ma si tratta con tutta evidenza di una bugia da furbastri. Politicantismo della più bell'acqua.

Del resto è lo stesso Beppe Grillo il maestro di questo tipo di risposte. Proprio qualche giorno fa, ad esempio, il nostro viene interrogato sul caso delle «comunarie» di Genova, dove come si sa ha fatto dimettere d'imperio la candidata risultata vincitrice, e risponde così: «È un problema di metodo. Una democrazia senza regole non è una democrazia. Noi abbiamo le nostre. Io sono il garante e le faccio rispettare». Già, ma delle regole ce l'hanno tutti — la mafia, l'ordine dei farmacisti, l'Automobile Club —: si tratta di vedere di che razza di regole si tratta, che cosa stabiliscono. Una regola che dà tutto il potere a uno solo sarà pure una regola, ma è certo che con la democrazia non ha nulla a che fare. La risposta di Grillo è un puro gioco di parole, insomma, non vuol dir nulla: anche qui politicantismo della peggior specie.

Intendiamoci: come ho detto, ricorrere a simili trucchi verbali, menare il can per l'aia, eludere le questioni scomode è in certa misura una cosa abituale in politica (solo in politica?). Ciò che alla fine risulta stucchevole e diciamo pure insopportabile nei 5Stelle è il fatto, però, che tutto questo si accompagna a una implacabile sicumera da primi della classe, di «diversi e migliori» in servizio permanente effettivo.

Ma il loro modo di rispondere (e in generale di esprimersi) non mi sembra per nulla casuale. È il frutto di un elemento che ascoltandoli risulta subito evidente: e cioè della loro scarsa dimestichezza, in generale, con la dimensione del «discorso». Voglio dire con la capacità di esporre spiegazioni verosimili, di articolare nessi plausibili, di modellare argomentazioni almeno in parte fondate, di usare una retorica che non sia quella elementarissima del «bianco e nero». Una scarsa dimestichezza che evidentemente rimanda per un verso alla diffusa inesperienza politico-sociale della maggior parte degli esponenti dei 5Stelle. Ben pochi dei quali hanno mai militato in un partito, sono stati iscritti a un sindacato o a un'organizzazione qualunque, e dunque non hanno mai avuto a che fare con dibattiti e discussioni, con la necessità di replicare, mediare, giustificare, propria di questo tipo di circostanze. Per l'appunto i parlamentari grillini sono i nuovi e inespertissimi arrivati nella sfera pubblica italiana.

Per un verso. Ma c'è poi un'altra spiegazione, credo, per la loro scarsa dimestichezza con la dimensione del «discorso». Con la giovane età che perlopiù li contraddistingue essi appaiono, infatti, anche il frutto compiuto dello sfasciato sistema d'istruzione del loro (e ahimè nostro) Paese. Nel loro modo di parlare e di ragionare, nel loro lessico, è facile indovinare curriculum scolastici rabberciati, insegnanti troppo indulgenti, lauree triennali in scienze della comunicazione, studi svogliati, poche letture, promozioni strappate con i denti.

S'indovina cioè un vuoto. Il multiforme vuoto italiano di questi anni, in cui tutto sembra sgretolarsi e finire. Un vuoto a cui come elettori, peraltro, si può essere pure tentati di accostarsi con la speranza — sempre l'ultima a morire — che esso celi qualcosa di buono che a prima vista non è dato di scorgere ma che forse c'è, in fondo chissà potrebbe pure esserci. Salvo restare ogni volta regolarmente delusi.

Nel caso dei grillini c'è in più Grillo, poi: per il quale tutte questa osservazioni naturalmente non valgono. Lui infatti è un'altra cosa, lui è il Capo, il pifferaio magico, il Joker casareccio che approfittando dell'assenza da queste parti di chiunque possa fare la parte di Batman, ha immaginato di diventare un giorno il padrone di Gotham City.

venerdì 24 marzo 2017


John Collison, 26 anni, fondatore di "Stripe", è il più giovane miliardario "self -made man" del mondo, secondo Forbes

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COLLISON
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È il più giovane miliardario del mondo "self-made man", ovvero fattosi da solo: secondo l'annuale classifica dei ricchi stilata dalla rivista Forbes è John Collison, irlandese di 26 anni, fondatore dell'applicazione Stripe, a guadagnarsi il titolo. La sua app, che ha l'obiettivo di trasformare il settore dei pagamenti online, ha un valore di circa 9,2 miliardi di dollari. Collison ha scalzato il co-fondatore di Snapchat, Evan Spiegel, più vecchio di lui di appena due mesi.

Stripe è stata fondata nel 2010 con il sostegno di Peter Thiel, Elon Musk e Sequoia Capital e recentemente ha ricevuto un finanziamento da 150 milioni di dollari da parte di CapitalG, una divisione di investimenti di Google, e General Catalyst Partners. Il suo campo di influenza è dunque in crescita. Così come il patrimonio di Collison, per ora stimato intorno a 1,1 miliardi di dollari.

Collison lavora fianco a fianco con il fratello Patrick, con il quale condivide la passione per l'informatica e i codici. Prima di creare Stripe, i due avevano fondato una startup chiamata "Auctomatic", che fu venduta per 5 milioni di dollari nel 2008 quando erano ancora dei teenager.

domenica 5 marzo 2017

La nostra solitudine


Di che cosa ha bisogno oggi la gente?  

«La gente ha una grande necessità di essere consolata nella propria solitudine e il cinema aiuta. Tutti ci sentiamo soli e il cinema, per convergenze misteriose, allevia il dolore della solitudine che alberga in ognuno di noi».