venerdì 20 maggio 2011

Nuova acqua nella diga

La vita dell'uomo ha quattro tappe.

La prima è quella dell'imparare, quando si è formati dai maestri.

La seconda è quella dell'insegnamento in cui si condivide ciò che si è appreso con gli altri.

La terza fase è quella del bosco, nel quale ci si ritira per ritrovare se stessi ed energie nuove.

Infine, la quarta tappa è l'essere mendicanti, tendendo la mano agli altri perché ti sorreggano nella malattia e nella vecchiaia.

Imparare, insegnare, meditare, mendicare.

 Quando è di scena la trama interiore ciascuno di noi può interrogarsi sul livello in cui ora si trova e soprattutto se sta correttamente seguendo la traiettoria, ricordando però che le tappe possono intrecciarsi tra loro.

C'è innanzitutto il tempo del discepolato, della ricerca, dell'apprendimento umile e paziente.

È solo così che si passa alla seconda tappa divenendo maestri, testimoni, padri e madri.

Ma non si può vivere sempre esposti.

È necessaria la ricarica, una sorta di rifornimento dell'anima, una reimmissione dell'acqua nella diga.


Alla fine, giunge la vecchiaia o la malattia e, allora, con umiltà si deve stendere la mano come mendicanti per essere aiutati e sostenuti.

Anche questa, però, è una stagione importante di quell'avventura unica che è la vita.

 

mercoledì 18 maggio 2011

Indignata

Benedetta, la figlia di Walter Tobagi, un'altra vittima milanese dei terroristi , indignata dai manifesti sulle Br, battutasi  fino all'ultimo comizio per Giuliano Pisapia,
 commenta: «Milano non ha dimenticato e non si adegua; è una signora!».

I sogni di una vita

Può darsi che tutto questo, domani, si traduca e si sostanzi in qualche tendenza generale, e ci mostri un'evoluzione, un percorso, una via. 
Ma, per ora, mi pare che quel che ognuno di noi è incline a vedere sia soprattutto frutto dei suoi sogni,
 come le costellazioni che crediamo di indovinare nelle notti d'estate.

martedì 17 maggio 2011

il potere perduto

Sessantadue anni non è poi questa gran vecchiaia. Ma, a quell'età, un tempo si inaugurava mentalmente un rettilineo finale di quiete e di (almeno apparente) saggezza. Con parecchie ammaccature e dolori artritici, con qualche svampitezza, ma con convenzionale, sebbene malinconica, tranquillità d'animo. Non c'erano le pilloline azzurre a tempestare la mente e a infiammare i corpi e gli animi. Dominique Strauss-Kahn, sessantaduenne, è invece figlio della vecchiaia ai tempi del Viagra. Come se una rivoluzione chimica avesse irreversibilmente scardinato l'immagine stessa della vecchiaia come ci è stata tramandata dalla tradizione e dalla letteratura.

La letteratura, appunto. Sismografo delicatissimo dei mutamenti della sensibilità, la letteratura, il mondo del romanzo, del cinema e dell'arte, ha già provveduto a raffigurare il dramma di una nuova e sconosciuta pretesa di chi, maschio in declino, sente tuttavia montare dentro un vigore giovanile proprio mentre le forze abbandonano il corpo e lo rendono fragile. Poco reattivo, per così dire. La pillolina azzurra sembra sfidare il destino, rendendo i nuovi vecchi nevrotizzati, incontenibili, pateticamente smaniosi. Tutta l'opera di Philip Roth, da L'animale morente in poi, non è che un doloroso, serrato, spietato, spudorato scontro tra le due entità che Moravia avrebbe ricondotto a «io e lui». Il corpo che invecchia va in discesa, ma la vista delle giovani sogna nuove ascese. Non si rassegna. Combatte. E nel rothiano Controvita il protagonista cardiopatico rinuncia addirittura ai betabloccanti per non bloccare il segno di un erotismo refrattario al cedimento.
Patetico. Come l'Anthony Hopkins di Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, che aspetta gli effetti della pillolina azzurra per dare l'assalto alla giovane spregiudicata che lo sta abbindolando, spolpandolo dei suoi averi.

Nella stanza di New York, Strauss-Kahn, di cui era nota la maleducata incontinenza che governava ogni suo approccio con la prima donna lo sfiorasse, non recitava un melodramma patetico, ma inscenava il copione del binomio potere e denaro: potente afrodisiaco che però, ai tempi del Viagra, moltiplica fino al parossismo l'illusione di aver trovato l'elisir di lunga vita che permette ogni trasgressione pur di sentirsi ancora un pò vivi. L'arroganza del potere e del denaro che diventa a un certo punto patetica, con stuoli di ragazze che chiedono, esigono, incassano, alzano la posta, intensificano il bunga bunga per regalare momenti di onnipotenza al vecchio che non si rassegna, e che vuole mostrare la propria virilità intatta come simbolo dell'immortalità. L'onnipotenza come antidoto all'impotenza.

Il vecchio cambia con la vecchiaia che non è più la vecchiaia di una volta. Norberto Bobbio rifletteva sul De Senectute, lo stesso testo su cui Andreotti si esercitava con le sue civetterie ciceroniane. Altri tempi. Prima della rivoluzione. Prima della rivoluzione chimica che mette «il fuoco nella mente». Guido Ceronetti consegna con il suo romanzo In un amore felice appena pubblicato da Adelphi il ritratto di un anziano signore che all'incrocio di una strada si infatua perdutamente di una giovanissima donna: ma «preferiva la semplice carezza affettiva al trambusto delle finzioni». Il vecchio di Ceronetti respinge le «finzioni» chimiche e si immalinconisce per il «declino della virilità». Ma l'atmosfera è sempre quella di un divario tra ciò che si vorrebbe e come si vorrebbe che il corpo rispondesse: la nuova, straziante ossessione della vecchiaia viagrizzata.

Ai primi segni del decadimento, poi, si entra in allarme, si scruta il proprio corpo per disperarsi sulla sua sempre più scemata desiderabilità. Ed è incredibile che due romanzi usciti quasi simultaneamente, Solar di Ian McEwan e La vedova incinta di Martin Amis, raffigurino praticamente la stessa scena: l'uomo che, seviziato dai segni dell'età, pingue, flaccido, sempre più canuto, ha orrore di sé mentre si contempla, ignudo, nello specchio del bagno. McEwan: «Si rivolse un'occhiata incredula: quali meccanismi di autoconvincimento potevano averlo indotto a pensare che quella forma fisica fosse attraente?». Amis: «Ogni nuova visita allo specchio sarà un'esperienza di inedito raccapriccio».

Sia il personaggio di McEwan che quello di Amis si affacciano sulla sessantina. Per evitare il «raccapriccio» che dovrebbe accompagnarli per il resto della loro vita, si impone l'espediente della ritoccatina, della correzione, della salvezza chimica. Il prolungamento delle aspettative di vita più la rivoluzione chimica creano il nuovo vecchio. Che comincerà ad assomigliare sempre più a un satiro assatanato piuttosto che a un uomo colmo di esperienza, dispensatore di saggezza. È una novità storica. Anche se le novità possono affondare le loro origini nei primordi della mitologia, tanto che Eugenio Scalfari alla narrazione mitologica ricorre, per dare un titolo al suo ultimo libro, a un verso di Saffo: Scuote l'anima mia Eros.
La vecchiaia come nuovo scandalo: un inedito della storia. Ancora più sconfortante è vedere come, scavalcando ogni mediazione letteraria, da Arcore a un albergo di New York, il vecchio potente e ricco abbia perduto ogni ritegno. Vecchi un pò ci si vergognava. Oggi produce rabbia. La rabbia dell'impotenza (morale).

sabato 14 maggio 2011

La diversità come ricchezza

Per lei la musica é vibrazione interna del corpo, qualcosa in cui sprofonda, che ogni volta è diverso e la fa sentire una cosa sola con la bacchetta e il tamburo, come fossero prolungamenti di sé. Evelyn Glennie suona le percussioni e perciò è normale che senta la musica come vibrazione. Ciò che è meno comune in lei è l'incapacità di sentirla in altro modo, e cioè come tutti gli altri.

La chiamano a lavorare grandi orchestre da tutto il mondo, eppure é sorda. Da quando aveva otto anni. Adesso ne ha 46 e dopo avere frequentato il pianoforte e il clarinetto, dice che con le percussioni vuole insegnare agli altri a sentire, a sentire la musica. "E' la mia sola ragione di vita" dice. "Tutto il corpo diventa una cassa di risonanza e interpreto la partitura ogni volta come fosse la prima, perché non ho memoria uditiva, anche con i brani che suono spesso".

Spiega che quando permetti al tuo corpo di aprirsi per farti attraversare dal suono, dalla vibrazione, persino le più sottili differenze di "colore" diventano percettibili. Puoi sentirle nella tua mano aperta e addirittura nelle più piccole parti delle tue dita. E che quelle vibrazioni diventano un dialogo con chi le ascolta.

Quando ha iniziato a studiare le percussioni, a dodici anni, il suo insegnante era preoccupato di come avrebbe fatto a farle distinguere le diverse sonorità. Poi, insieme, presero l'abitudine di poggiare le mani sul muro, per sentire la vibrazione degli strumenti e cercare di "connettersi" con essi. E scoprirono con meraviglia che la percezione che ne derivava era molto, molto più ampia di quella che si poteva ricavare attraverso il solo udito.

Una volta cresciuta, fece domanda alla Royal Accademy for Music a Londra. Le risposero di no, perché non avevano idea di che futuro potesse mai avere un musicista sordo. Lei si mise di punta: "Se mi rifiutate per questa ragione, allora dobbiamo pensare molto seriamente alle persone che invece accettate". Alla fine la presero. Non solo. Quello che successe fu che cambiarono le regole nelle istituzioni in tutto il Regno Unito: in nessuna circostanza le scuole rifiutano più gli allievi con handicap, siano essi senza braccia, senza gambe o con qualsiasi altro problema, sulla base della sola considerazione della loro disabilità. Oggi, ogni allievo viene valutato solo e soltanto per le sue capacità musicali.

In questi giorni in Italia per concerti, Evelyn ha incontrato a Roma alcuni rappresentanti di associazioni di sordi - per i quali lei è un'icona - e di altre disabilità, dai muti ai ciechi. Spiega che "ognuno ha la sua frequenza cui è più sensibile e che deve scoprire, partendo dalle più basse, che sono le più facili da avvertire, e quando l'ha scoperta la deve sviluppare, deve lavorarci coinvolgendo tutto il corpo». Ma anche che, se vuole essere libero e indipendente, un sordo deve imparare a leggere il movimento delle labbra e non il sistema ghettizzante del linguaggio dei segni.

mercoledì 11 maggio 2011

Indifferente soggettività

Si  ha l'impressione che la gran parte dell'opinione pubblica sia rimasta affascinata dall'alto livello delle tecnologie operative, dal materiale militare , traendone implicitamente la conclusione che chi può disporre dei tre fattori indicati (tecnologia, armi e finanza) può contare su un altissimo livello di superiorità e potenza.

I tre citati grandi fattori (soldi, tecnologie e armi) esaltano la dimensione muscolare delle vicende internazionali, ma non producono intimo significato per le vite individuali e collettive e non producono senso della Storia. Essi sono infatti tutti autoreferenziali e banalmente autopropulsivi, visto che (come ci insegnò anni fa Emanuele Severino) la tecnologia mira a sviluppare più tecnologie; gli apparati militari tendono ad alimentare la loro centralità; e la finanza prolifera in sempre più finanza. Manca ad essi la capacità di relazionarsi con il mondo esterno e farlo crescere. Per cui poche centinaia di eletti pensano di fare storia con il dispiegamento della loro potenza, mentre miliardi di persone stanno solo a guardare, magari affascinati dalla sofisticazione dei droni e degli elicotteri o dalla piantina del compound di Bin Laden.

Ma così non si acquisisce leadership, la si perde. I tantissimi che stanno a guardare si rifugiano nella indifferente soggettività del loro sopravvivere, del loro possibile viver al meglio, della loro vicenda esistenziale; mentre si sfaldano o non si coagulano interessi collettivi, movimenti collettivi, mobilitazioni collettive, e comuni processi di sviluppo. Per cui, alla fine, di fronte alle orgogliose dimostrazioni di potenza occidentale, finiscono per avere paradossalmente più dinamica storica e sociale quelle confuse e un po' scalcinate «rivoluzioni nordafricane », che agiscono senza armi, senza tecnologie, senza soldi; ma che hanno una «fame di mondo» che la cultura occidentale non ha più modo neppure di desiderare.

Forse perché essa non sente più nel suo profondo quell'esortazione ad avere mondo.

Chi ha ambizioni e volontà di leadership (ebreo, cristiano, musulmano che sia) porta sempre dentro di se un'impronta abramitica, la chiamata cioè ad uscire dalla propria terra per fare mondo. Perché, rispetto ai recinti di potenza autoreferenziale, il mondo è altrove, per fortuna ancora altrove.

venerdì 6 maggio 2011

Senza Vergogna

sistemata la casa, voleva arredarla con una poltrona, «un posticino, qualcosa per dire grazie». 
E ieri il posticino è arrivato: consigliere personale del ministro dell'Agricoltura, il corresponsabile Romano.
 Razzi dovrà occuparsi di lotta alla contraffazione alimentare. 
Cautamente sondato sulle sue esperienze in materia, il neo-consigliere ha risposto:
 «Sono un buongustaio e soprattutto un buon cuoco: a tempo perso, aiuto mia moglie in cucina». 
Perché il vero tratto distintivo di questa casta di macchiette non è più nemmeno l'incompetenza. E' la mancanza di vergogna.