mercoledì 11 maggio 2011

Indifferente soggettività

Si  ha l'impressione che la gran parte dell'opinione pubblica sia rimasta affascinata dall'alto livello delle tecnologie operative, dal materiale militare , traendone implicitamente la conclusione che chi può disporre dei tre fattori indicati (tecnologia, armi e finanza) può contare su un altissimo livello di superiorità e potenza.

I tre citati grandi fattori (soldi, tecnologie e armi) esaltano la dimensione muscolare delle vicende internazionali, ma non producono intimo significato per le vite individuali e collettive e non producono senso della Storia. Essi sono infatti tutti autoreferenziali e banalmente autopropulsivi, visto che (come ci insegnò anni fa Emanuele Severino) la tecnologia mira a sviluppare più tecnologie; gli apparati militari tendono ad alimentare la loro centralità; e la finanza prolifera in sempre più finanza. Manca ad essi la capacità di relazionarsi con il mondo esterno e farlo crescere. Per cui poche centinaia di eletti pensano di fare storia con il dispiegamento della loro potenza, mentre miliardi di persone stanno solo a guardare, magari affascinati dalla sofisticazione dei droni e degli elicotteri o dalla piantina del compound di Bin Laden.

Ma così non si acquisisce leadership, la si perde. I tantissimi che stanno a guardare si rifugiano nella indifferente soggettività del loro sopravvivere, del loro possibile viver al meglio, della loro vicenda esistenziale; mentre si sfaldano o non si coagulano interessi collettivi, movimenti collettivi, mobilitazioni collettive, e comuni processi di sviluppo. Per cui, alla fine, di fronte alle orgogliose dimostrazioni di potenza occidentale, finiscono per avere paradossalmente più dinamica storica e sociale quelle confuse e un po' scalcinate «rivoluzioni nordafricane », che agiscono senza armi, senza tecnologie, senza soldi; ma che hanno una «fame di mondo» che la cultura occidentale non ha più modo neppure di desiderare.

Forse perché essa non sente più nel suo profondo quell'esortazione ad avere mondo.

Chi ha ambizioni e volontà di leadership (ebreo, cristiano, musulmano che sia) porta sempre dentro di se un'impronta abramitica, la chiamata cioè ad uscire dalla propria terra per fare mondo. Perché, rispetto ai recinti di potenza autoreferenziale, il mondo è altrove, per fortuna ancora altrove.

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