Stordito dal fiume in piena che gli ha allagato l'esistenza guarda fuori dalla finestra, senza sapere più che cosa pensare mentre resta appoggiato all'incomprensibile davanzale della vita.
martedì 27 settembre 2011
fell out from love
Italians are fantasists. Reality's not good enough for them. In his latest novel, The Pregnant Widow, Martin Amis describes Italy in the eventful early 1970s. Forty years later, it may seem that things haven't changed. We – Italians – have long been escapists, ruled by the ultimate political escape artist. Silvio Berlusconi is not only our longest serving postwar prime minister; he is also an illusionist, who knows his audience well. But he be may be starting to lose his touch. Mr Berlusconi built his fortunes on our weaknesses. He is a hyper-populist – a combination of Juan Perón, Vladimir Putin and Frank Sinatra. He can sing, he can act, he can be charming and ruthless, and he knows how to talk to people who prefer face-to-face to Facebook. He told us what we wanted to hear. As details surfaced of his wild parties with young girls who used to call him «Papi"», he explained: «I work hard and in the evening I need to unwind». This is music to many married men's ears. In her early days, Madonna screamed: «Papa, don't preach!». Well, Papi Silvio certainly doesn't and never did. But a stagnant economy worries voters. Corruption scares away investors. And what does the prime minister do amid the fear, the scorn and the storm? He schemes against his own finance minister, Giulio Tremonti; he juggles four criminal trials, on charges of bribery, tax dodging, embezzlement and patronising an underage woman for sex (he denies any wrongdoing); and he answers phone calls from young women who want favours after attending his «bunga bunga» parties. Mr Berlusconi has survived countless forecasts of his departure, but his time may finally be up. Emma Marcegaglia, president of Confindustria, the industrialists' association, which is usually cosy with Italy's centre-right governments, is furious: «We are fed up with being an international laughing stock - she said -. Across Europe and in America first they condemned us; then they pitied us; now they spur us on, as if to say: 'Come on! Italy may have its problems, but it can do better than this». This is new. Those who love Italy, and/or do business with us, realise we now need encouragement, not derision, because Italy is currently crossing a treacherous border – perhaps the third and final such crossing, as far as Mr Berlusconi is concerned. The first border was between complicity and embarrassment. We crossed it in 2009, 15 years after Mr Berlusconi's first stint in government, with the revelations of the prime minister throwing wild parties in his residences in Rome and Sardinia, with very young girls in attendance. The surprise visit to one of them by Noemi Letizia, on the occasion of her 18th birthday, cost Mr Berlusconi his wife Veronica and also shed light on his unusual personal lifestyle. The second border divides embarrassment from irritation and shame. In the past two years, Italy has been hit by an avalanche of sleaze. And the prime minister has appeared to be surfing on it, seemingly undaunted. Among many spectacular allegations was a report that he abused his office to cover up his relationship with an underage Moroccan girl, and that he paid her for sex. The impression is that, at this point, many centre-right voters «crossed that border» from feeling embarrassed to irritation and shame. Last spring, local elections in Naples and Milan, Mr Berlusconi's home town, confirmed this: the prime minister's candidates were thrashed. Today Italians stand on the third border, this time between shame and anger. The euro crisis looms large, given that on September 20 Standard & Poor's' cut Italy's credit rating by one notch to a single A. The editor of Il Sole 24 Ore recently summarised Italy's woes, pointing to «the fragility of the government coalition, the embarrassing chain of scandals that directly affect the prime minister, his ministers and their immediate associates, and a persistent inability to take painful but necessary decision». All of this adds up to a worrying picture, especially as the country celebrates its 150th birthday – twice as many as Mr Berlusconi, who is 75 on Thursday. Eventually, even fantasists must give up their fantasies. The time is surely right for the escape artists to make room for the professionals. This time, at last, I think it is going to happen.
I nuovi media
In Italia è conosciuto come l'erede di Marshall McLuhan, di cui è stato allievo e poi assistente per oltre 10 anni. Tra l'83 e il 2008 è stato direttore del programma McLuhan in cultura e tecnologia all'Università di Toronto. È pure canadese (naturalizzato) come il celebre massmediologo, di cui quest'anno si è festeggiato il centenario. Ma Derrick De Kerckhove, 67 anni portati con allegria, occhi azzurri sotto una massa di capelli argentei ribelli e fisico dinoccolato, di canadese si riconosce solo lo sguardo critico verso gli Usa, l'ingombrante superpotenza vicina di casa. Nato in Belgio, vive tra Nizza, Barcellona e Napoli, dove insegna sociologia. Parla almeno quattro lingue con disinvoltura, tanto che a volte le lingue si mischiano e, per dirla con McLuhan, il mezzo diventa il messaggio. Non sembra un problema per i suoi studenti, che lo considerano un guru. Lo abbiamo incontrato agli Stati Generali della Cultura Popolare in corso in questi giorni a Torino (oggi la chiusura).
«Il mezzo è il messaggio» è un'espressione che ha ancora senso?
«Già nel 1961, quando Internet era un sogno, McLuhan parlava di un nuovo medium che "non sarebbe stato contenuto nella tv, ma l'avrebbe contenuta in sé, avrebbe reso obsoleta l'organizzazione delle biblioteche e sviluppato in ciascuno il potenziale enciclopedico". Basta pensare al Web di oggi, con YouTube e Wikipedia, per capire che McLuhan aveva previsto tutto. Oggi direbbe "Internet è il mezzo"».
Come cambia l'oralità ai tempi del Web?
«Il linguaggio della scrittura finché non è diventato elettronico era silenzioso, interiore. Oggi siamo produttori della nostra oralità, che è pubblica perché condivisa in Rete alla velocità della luce con un linguaggio allo stesso tempo interiore ed esteriore. Internet aiuta a recuperare tutto e rende le librerie obsolete: è cambiata per sempre l'organizzazione del sapere. McLuhan aveva previsto uno strumento come Wikipedia, che recupera il nostro potenziale enciclopedico, e persino lo spionaggio trasparente di Wikileaks, che non permette più ai potenti di tenere le masse all'oscuro. È un'oralità che avviene per lo più con lo smartphone, che può diventare una banca dati enorme sempre a disposizione. McLuhan diceva che quando sei al telefono non hai più il corpo: secondo me in realtà rende possibile la clonazione virtuale di noi stessi, non a caso quando parliamo al telefono gesticoliamo come se la persona con cui parliamo fosse davvero davanti a noi. E la socializzazione, lo scambio di informazioni che avviene sui social network, è potente: dopo tanti tentativi di rivolta, in Egitto la prima ad andare in porto è stata quella nata su Twitter, un sistema nato per registrare brevi chiacchiere ("twit" in inglese significa "scemo") che si è trasformato in un modo per mandare via "gli scemi al potere"».
Come aveva profetizzato McLuhan, siamo nell'era del «villaggio globale». Ma l'abilità tecnologica del cittadino medio per districarvisi è piuttosto scarsa. Qual è il rischio di non alfabetizzarsi nel nuovo mondo digitale?
«C'è il rischio di impigrirci, delegando le nostre decisioni a strumenti sempre più complessi, che usiamo senza sapere come siano fatti. Oggetti come l'iPad a molti appaiono magici. Presi nel vortice di computer e social network, noi siamo dei Pinocchio 2.0».
In che senso?
«In senso antropologico: Pinocchio è il superamento dell'uomo sulla macchina, nasce come risultato della meccanizzazione del gesto umano, è la macchina che mente sulla nostra condizione e alla fine chiede di tornare umana. Ai tempi di Carlo Collodi, molti lasciavano la Toscana per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord Italia. Lì si disumanizzavano e quando ritornavano a casa (Pinocchio che entra nel ventre della balena, grande madre metaforica) non sapevano più chi erano. Ma Pinocchio lì dentro smette di essere macchina e ne esce per diventare uomo in carne e ossa. Nel mondo digitale cosiddetto 2.0 di oggi, dove il nostro Sé esiste solo in connessione a tutti gli altri, la problematica di Pinocchio si è moltiplicata».
Tanto che il protagonista di Avatar, il film di James Cameron, sceglie invece di restare virtuale, preferisce il mondo delle macchine a quello umano...
«È l'altra faccia della medaglia. Con la tecnologia 3D si possono ottenere meravigliose ricostruzioni di Pompei, ma questo non ci esime dal recuperare la Pompei storica. Anche se presto avremo doppi digitali, i rapporti umani in carne e ossa non diventeranno obsoleti. Non stanchiamoci di coltivarli».
Come vede l'Italia, nel villaggio globale?
«L'Italia è in coda all'Europa per l'accesso alla Rete per volontà politica. Il vostro premier sa bene che il popolo si controlla con i media: controlla gli italiani con la televisione, riducendo l'importanza di Internet».
Crede che arriverà anche una primavera italiana, almeno per quello che concerne la cultura digitale?
«Sì, i segnali ci sono tutti, ma sarà una battaglia fra generazioni. In Italia manca la consapevolezza dell'esistenza di una cultura popolare - "pop" - condivisa che è oggi più vicina al Web, piuttosto che al patrimonio classico».
Viviamo in un mondo senza più privacy, all'insegna della trasparenza totale, ma anche dell'invasione della sfera privata. È necessario rifondare una Carta dei diritti dell'uomo?
«Sì. Un sistema di connessione globale ha anche i suoi rischi. Siamo sempre reperibili, quindi schedati e controllati. McLuhan diceva che l'elettricità, come l'alfabetizzazione, rivela tutto ciò che è nascosto».
È un bene o un male?
«Non abbiamo scelta, non si può tornare indietro, bisogna prenderne atto e attrezzarsi per questo Brave New World».
Come si pone personalmente di fronte all'utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione?
«Uso l'iPhone, Facebook e il mio bigliettino da visita contiene il codice QR per la realtà aumentata. Ma la sera preferisco avere in mano un libro anziché un ebook».
lunedì 26 settembre 2011
Come migliorarsi
Ogni volta, anche nelle situazioni più difficili, ho cercato di trovare una nota positiva, una meta verso cui andare. Non ho mai attaccato o deriso nessuno, ho sempre cercato di capire le ragioni del comportamento umano convinto che, quando conosciamo noi stessi, possiamo cambiare o migliorare.
venerdì 23 settembre 2011
L'autosufficienza della Ragione
Benedetto XVI: non subordinare ciecamente a Dio le leggi e la società, ma scoprire l'accordo profondo di ciò che dicono la ragione e il diritto con la parola che viene da Dio. "Da questo legame precristiano tra diritto e filosofia – ha spiegato il papa - parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell'Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Diritti umani e fino alla nostra Legge Fondamentale tedesca, con cui il nostro popolo, nel 1949, ha riconosciuto 'gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo'". Oggi, pero', per il papa l'Europa si trova davanti a una sfida: non lasciare che la ragione si consideri autosufficiente, rifiutando tutto quello che non e' "funzionale" e falsificabile, e richiudendosi come un edificio "di cemento armato senza finestre". "Bisogna tornare a spalancare le finestre – è stato l'appello del Papa -, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto", e in questo modo permettere alla ragione di "ritrovare la sua grandezza senza scivolare nell'irrazionale". Ma la sfida di Ratzinger è a fare un passo ulteriore: non dimenticare la consapevolezza che "l'uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere".
teologicamente leggere
Gli apostoli hanno trasmesso la loro autorità ai vescovi.
Ma mentre per i cattolici e per gli ortodossi questo «passaggio di consegne» è la garanzia che la tradizione non vada persa, per la maggior parte dei protestanti la successione apostolica va intesa solo come successione della parola di Dio e non delle strutture ecclesiastiche, che rimangono teologicamente leggere e non si frappongono tra il credente e Dio.