L'8 marzo è una giornata che poche e pochi ormai celebrano, che viene sopportata, spesso avversata. Ma in tempi in cui parliamo inquieti di sottomissione - della nostra civiltà con le sue libertà giovani, delle donne rispetto agli uomini - questa festa può rappresentare un'occasione semplice per essere fiere di quello che siamo e per essere, insieme, più forti in un cammino incerto. Lo dobbiamo costruire, con coraggio, ancora: le donne pronte a rischiare per non fermarsi, perché le nostre conquiste non sono mai definitive; gli uomini pronti ad abbandonare il conforto di identità fuori tempo massimo.
sabato 7 marzo 2015
In viaggio
L'8 marzo è una giornata che poche e pochi ormai celebrano, che viene sopportata, spesso avversata. Ma in tempi in cui parliamo inquieti di sottomissione - della nostra civiltà con le sue libertà giovani, delle donne rispetto agli uomini - questa festa può rappresentare un'occasione semplice per essere fiere di quello che siamo e per essere, insieme, più forti in un cammino incerto. Lo dobbiamo costruire, con coraggio, ancora: le donne pronte a rischiare per non fermarsi, perché le nostre conquiste non sono mai definitive; gli uomini pronti ad abbandonare il conforto di identità fuori tempo massimo.
Poi i compagni!
Poi, naturalmente, i compagni. I mariti, i fidanzati, i partner di un tratto lungo o breve di strada. Quei compagni che, anche quando il rapporto si stringe e complica, non negano alle donne la libertà che davano per acquisita, giusta, accettabile in tempi di pace. Spesso la crisi di una relazione vede gli uomini, compresi quelli delle generazioni più giovani e consapevoli dei cambiamenti avvenuti, rientrare in uno schema familista che consegnava - e consegna - ai maschi il controllo sugli spazi femminili. Da qui, davanti a una frattura o al rischio di abbandono, lo sconcerto. E la furia, che arriva fino alla violenza, per negare alle donne la possibilità di andare via, andare altrove, spostarsi fuori controllo. Sono «le mazzate», le catene private e pubbliche, da cui le due amiche protagoniste dei romanzi di Elena Ferrante cercano con fatica e dolore di allontanarsi, inerpicandosi dal rione d'origine verso nuove città ideali dove «le smarginature» possano essere ricomposte.
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