giovedì 29 novembre 2012

La svolta

 Domenica sera sapremo chi, fra Bersani e Renzi, sarà il candidato premier del centro sinistra. E forse sapremo anche chi ci governerà nei prossimi anni, visto che la coalizione guidata dal Partito democratico ha buone possibilità di vincere le elezioni, né possiamo escludere che, oltre a vincere le elezioni, riesca persino a formare un governo. Si capisce dunque il clima surriscaldato di questi giorni, un clima che si è fatto rovente soprattutto intorno a due nodi.  

 

Primo nodo: il centro-sinistra prenderebbe più voti con Renzi o con Bersani? Quasi tutti i protagonisti ritengono di saperlo, ma nessuno lo sa veramente. Secondo alcuni Renzi porterebbe al centro-sinistra diversi milioni di elettori disgustati dalla politica e/o delusi dal centro-destra, secondo altri provocherebbe la spaccatura del centro-sinistra e la nascita di un raggruppamento politico alla sinistra del Pd. Probabilmente succederebbero entrambe le cose, visto che Renzi è detestato da una parte dei suoi stessi compagni di partito, ma è impossibile stabilire se il saldo fra voti persi e voti conquistati sarebbe positivo o negativo. 

 

Secondo nodo: l'accesso al ballottaggio. Vedremo come evolveranno le cose nelle prossime ore, ma quello che è evidente fin da adesso è che, limitando la partecipazione al ballottaggio di domenica prossima, l'apparato del Pd sta pagando un prezzo piuttosto alto per garantire l'affermazione del suo segretario. L'idea che per accedere al secondo turno si debba portare una «giustificazione» (come a scuola!), e che ci sia un organismo politico (il «Coordinamento Provinciale delle Primarie Italia Bene Comune», in pratica i funzionari del Pd) deputato a vagliare se la giustificazione è valida oppure no, è semplicemente grottesca, un buffo riflesso burocratico-stalinista che rischia di ritorcersi contro chi l'ha inventato. Perché è vero che chiudere l'accesso al ballottaggio avvantaggia Bersani, che ha già vinto al primo turno, ma è anche vero che, sul piano simbolico, avvantaggia Renzi, se non altro perché mostra di che pasta sono gli apparati per la cui rottamazione il sindaco di Firenze si batte. Senza contare la reazione di chi, escluso dal ballottaggio, negherà il suo voto al Pd alle elezioni vere, un sentimento e un'intenzione che ho già avvertito da più parti.  

 

L'attenzione del pubblico e dei media su questi due nodi, tuttavia, rischia di non farci cogliere la straordinaria trasformazione del paesaggio politico che – in questi mesi – si sta producendo sotto i nostri occhi. Non solo la nascita di protagonisti nuovi (Grillo e il Movimento cinque stelle) e l'autodistruzione di protagonisti vecchi (Berlusconi e il Pdl), ma la vera e propria mutazione che sta scuotendo il maggior partito della sinistra. La sfida di Renzi, anche se dovesse terminare domenica con una sconfitta, sta cambiando e cambierà definitivamente il Pd. Dopo quella sfida, e grazie a quella sfida, il Pd avrà per la prima volta – accanto alla componente socialdemocratica tuttora maggioritaria – una componente liberalsocialista o di «sinistra liberale» di peso politico non trascurabile. Il Pd del futuro non sarà più un partito diviso fra comunisti e cattolici, o fra massimalisti e ortodossi, ma un partito in cui la componente socialdemocratica (oggi ben rappresentata da Bersani) e quella liberaldemocratica (oggi ben rappresentata da Renzi) competeranno per la guida del partito.  

Il processo non è ancora compiuto, perché la componente liberale sta prendendo forma e coraggio solo in questi mesi, e quella socialdemocratica non è ancora pienamente tale: se lo fosse Renzi non verrebbe trattato da tanti compagni e compagne di partito come un traditore, un emissario del nemico, un corpo estraneo, o un ospite indesiderato. Ma la direzione di marcia è questa, ed è piuttosto veloce, a giudicare dai consensi che Renzi ha conquistato in pochi mesi. 

 

Ma c'è anche un altro aspetto che merita forse di essere notato. Il mondo politico della seconda Repubblica è oggi un incredibile cimitero di rovine, su tutti i piani. Quasi tutti gli uomini e le donne che hanno occupato gli schermi televisivi negli ultimi venti anni hanno perso ogni credibilità. In giro non si sentono più idee ma solo «dichiarazioni» di nessun interesse, messaggi più o meno in codice ad uso e consumo dei soli politici. I partiti si sono dissolti, travolti dalle inchieste giudiziarie e dall'indifferenza dei cittadini. La destra è un'armata allo sbando, senza progetti e senza senso del ridicolo. Il centro nasconde, dietro l'evocazione rituale – quasi un mantra – di Monti e della sua agenda, il suo vuoto spinto di idee e di uomini.  

 

In questa situazione il Partito democratico, di cui personalmente ho sempre visto e sottolineato gli immensi difetti, si staglia come l'unico «monumento» della seconda Repubblica che ha saputo sopravvivere al terremoto che il ceto politico ha provocato a sé stesso. Ha un'organizzazione, una rete di sedi e di militanti, un dibattito interno. Con le primarie ha saputo creare l'unico evento significativo di riavvicinamento dei cittadini alla politica. E con Renzi e Bersani ha offerto due candidati che possono piacere più o meno a ciascuno di noi, ma sono comunque fra i migliori politici in circolazione in Italia. 

 

Insomma il Partito democratico gode oggi di un prestigio relativo altissimo. Un prestigio che è tanto più significativo, o sorprendente, se pensiamo che anch'esso è coinvolto in diverse inchieste, anch'esso è pieno di personaggi che non avrebbero reso orgoglioso Enrico Berlinguer. E' questo prestigio relativo che spiega il fatto più interessante del nuovo panorama politico che si è andato consolidando negli ultimi mesi: il dibattito programmatico, le alternative fra cui scegliere, le poche idee sulle quali vale la pena scontrarsi, sono ormai quasi tutte dentro il Partito democratico. Ai suoi militanti, o a molti di essi, tutto questo sembra divisione, lacerazione, una ferita dolorosa. A Gramsci, invece, sarebbe parsa una (strana) forma di egemonia. La società italiana è così allo sbando che l'ultimo partito rimasto, anch'esso piuttosto logoro, disastrato e pieno di acciacchi, rischia di diventare l'unico luogo in cui si gioca davvero il futuro del Paese. Ecco perché la competizione fra Renzi e Bersani non indebolisce il Partito democratico, ma semmai lo rende più capiente, più capace di intercettare gli umori della società esterna. C'è solo da sperare che questa opportunità sia colta e coltivata, piuttosto che gettata al vento: magari anche lasciando che, domenica, chi vuole votare sia libero di farlo. 

 

Il narciso

Diciotto anni fa Silvio Berlusconi ebbe il merito di comprendere che la crisi della Democrazia cristiana e dei socialisti avrebbe privato molti italiani delle due case politiche con cui avevano una certa tradizionale familiarità. Gli orfani non avrebbero saputo per chi votare e il vuoto creato dalla scomparsa dei due partiti avrebbe regalato alle sinistre una vittoria sproporzionatamente superiore al reale seguito di cui godevano nel Paese. Berlusconi esagerò la prospettiva di una minaccia comunista, ma la creazione di Forza Italia ebbe l'effetto di riequilibrare il sistema politico e di offrire agli italiani la possibilità di una scelta. Capimmo che il fondatore di Mediaset aveva fatto la cosa giusta quando constatammo che una parte importante della sinistra aveva deciso di imitarlo. La scelta di Romano Prodi fu un omaggio indiretto alla iniziativa politica di Berlusconi. Molti conservatori liberali capirono che la nuova casa dei moderati era stata costruita dall'uomo sbagliato e che il conflitto d'interessi del costruttore, con le sue numerose ricadute giudiziarie, avrebbe acceso un'ipoteca sul futuro del Paese. Ma la logica imposta dalle circostanze non è necessariamente la migliore. L'iniziativa fu di Berlusconi e il merito, al di là degli errori e delle omissioni dei suoi governi, è certamente suo.

Oggi, tuttavia, Berlusconi sta facendo esattamente l'opposto di ciò che aveva fatto nel 1994. Anziché prodigarsi per la sopravvivenza della sua creatura, non sembra avere altra stella polare fuorché se stesso. Non si chiede che cosa possa giovare al Pdl per conservare credibilità agli occhi degli elettori moderati. Si chiede, passando continuamente da una tattica all'altra, che cosa convenga maggiormente alla sua persona e alla sua immagine. Recitare la parte del padre nobile? Riesumare Forza Italia? Sostenere Angelino Alfano, segretario del partito, o congedarlo? Attaccare Mario Monti o indicarlo al Paese come il suo erede e successore? Sostenere l'agenda Monti o diventare una sorta di Grillo in doppio petto, pronto a sfruttare tutti i malumori e i rancori della società nazionale? Assorbito nella contemplazione di se stesso Berlusconi non si accorge che la sinistra, nel frattempo, ha aperto le finestre della sua casa, ha indetto una sorta di pubblico concorso per la sua leadership, è diventata molto più credibile di quanto fosse negli scorsi mesi. Per uno straordinario rovesciamento dei ruoli Berlusconi sta creando il vuoto che diciotto anni fa era riuscito a riempire. Per chi voteranno nella prossima primavera i conservatori liberali e i moderati?

Le primarie, se organizzate per tempo, sarebbero state, probabilmente, la migliore delle soluzioni possibili. Se è troppo tardi, l'unica strada percorribile per il Pdl è quella di un congresso che non sia la solita convention, fatta di luci, applausi, canzoni, discorsi di circostanza e trionfo finale del leader. Al Pdl occorre un appuntamento in cui vi sia spazio per discussioni, denunce, proposte ed esami di coscienza. Soltanto così gli elettori che non si sentono sufficientemente rappresentati da altre formazioni politiche del centrodestra, sapranno se nel Pdl vi siano ancora donne e uomini, possibilmente nuovi, degni di aspirare alla loro fiducia. Beninteso il congresso sarà utile soltanto se Berlusconi accetterà di assistere dalle quinte. Farebbe un bel regalo di Natale al suo partito e a se stesso.

 

giovedì 22 novembre 2012

Non è un paese per vecchi

Che non fosse un Paese per vecchi si sapeva,

che neanche i bambini ci si trovino alla grande è un dato di fatto,

da ieri si ha la sensazione che non sia un bel posto neanche per i disabili.

Troppo facile essere un Paese per soli sani, possibilmente benestanti. 

 

la sacralità della parola silenziosa

 Agostino dice che perfino cantare canti sacri, in chiesa, disturba la preghiera.
Agostino aveva scoperto già grandicello che lo spirito può fare tutto in silenzio, perfino (fu per lui una traumatica scoperta) leggere.
 Lui in Africa da ragazzo s'era abituato a leggere ad alta voce, come facevano tutti.
 Venuto a Milano, andò a trovare il vescovo Ambrogio, e lo vide dritto in piedi davanti a un leggio, intento a leggere un libro a bocca chiusa, senza pronunciare le parole.
 Rimase incantato.
 Il silenzio non ti distrae, ma ti concentra.
 La parola pronunciata, o peggio ancora recitata, diventa materiale, perde sacralità.

domenica 4 novembre 2012

La vera cultura

Ma che cos'è la cultura?  

«È la mediazione tra presente e passato in vista del futuro, e non lo studio del passato o del presente. Oggi in Italia viviamo in un presente piatto e grigio senza visione nè alle spalle nè davanti a noi. Si ha quasi l'impressione dell'abbandono della scienza e dello spirito, e ciò mi rattrista molto. La cultura oggi è principalmente scienza e tecnologia. Nelle scienze naturali esiste il progresso, e una verità spodesta la precedente. Ma nelle scienze dello spirito nulla mai si supera».  


Tutti possono accedere alla cultura?  

«Sì, perchè abbiamo bisogno di sospendere una vita ordinaria per accedere a una vita straordinaria: basta sostituire il tempo che dedichiamo alla distrazione a un divertimento più evoluto che dia maggiore felicità». 

 

E come si può fare?  

«Ci vuole più silenzio, solitudine, amore per lo sforzo, per la lettura. Del resto anche i campioni olimpionici si allenano e la cultura ha bisogno di allenamento celebrale». 


 

venerdì 2 novembre 2012

La Raccomandazione

In un libro di qualche anno fa, intitolato La raccomandazione , l'antropologa americana Dorothy Louise Zinn diceva che il sistema comincia dalla nascita. Quando un italiano è pronto per venire al mondo, le probabilità che sua madre, appena arrivata in ospedale, abbia chiesto, tramite vari gradi di conoscenza, una stanza singola per starsene in pace, sono molto alte; ed esercita tramite terzi pressioni sulle infermiere, esprimendo la volontà di avere il proprio figlio tra le braccia, qualche minuto in più del consentito. Cioè, nella sostanza: qualche minuto in più degli altri.

Il sistema si alimenta fino alla fine dell'esistenza. Subito dopo, i congiunti si muovono tra conoscenze varie per ottenere un funerale migliore e una posizione favorevole al cimitero. In mezzo ai due punti estremi, ci sono le scuole, i concorsi, il lavoro; ci sono i posti al teatro, le file da saltare, i passaporti, i posti auto, un tavolo in giardino al ristorante, il pesce più fresco in pescheria, e via con un elenco lunghissimo di eventi minuscoli o sostanziosi nei quali la differenza la fa il tuo pacchetto di conoscenze, il minor grado possibile di separazione dal potente di turno.

La vita di un italiano, a prescindere dalle grandi corruzioni che sono in atto da tempo e che in queste settimane esplodono alla vista di tutti, è legata alla raccomandazione come a uno statuto naturale. Le tangenti, le minacce, le pressioni, gli imbrogli e le corruzioni sono conseguenza (quasi) naturale di un sistema di vita basato sul concetto di disuguaglianza. Perché in fondo la raccomandazione non serve ad altro che a creare una differenza tra me e tutti gli altri. Io voglio ottenere tramite una rete di amicizie cose, posizioni e rendite migliori; agli altri, lascio il resto. Non voglio accettare le regole condivise con la mia comunità: voglio qualcosa in più. Cioè: voglio vivere meglio degli altri.

Una comunità dovrebbe basarsi sul concetto contrario. Cercare cioè di ottenere il meglio per tutti. La raccomandazione invece distribuisce disparità, e come conseguenza crea sfiducia nella neutralità. Se vado al ristorante, in fondo ho paura che mi rifilino cibo meno buono, perché non mi conoscono. E il cibo buono lo riservino per coloro che hanno ottenuto la raccomandazione. Ma non mi rendo conto che tale pratica l'ho messa in moto io tutte le altre volte. La vita italiana, nella sostanza, è modellata sull'ossessione che si ha in provincia: lì, non conta cosa vuoi fare, ma quante persone conosci.
Ora, non tutti gli italiani che praticano la raccomandazione quotidiana sono abili a farne una pratica di corruzione ad alto livello. Però è come se qui la vita fosse un continuo allenamento, una lunghissima preparazione atletica, minuziosa e quotidiana, al malcostume, alla disuguaglianza dei diritti, alla propensione al privilegio. E quindi, chiunque abbia il talento di approfittarne, arriva con il massimo della preparazione.

Il problema, però, non è se ogni italiano sia propenso a diventare il protagonista delle ruberie della scena italiana. No: quello che riguarda tutti noi, è se abbiamo la forza di riconoscere, indignarci e reagire, quando qualcuno procede per vie traverse - noi che siamo abituati fin dalla nascita a vivere in un mondo così. E ci sembra anche che, un mondo così, bene o male, abbia funzionato.