È populista chiedersi quali «sacrifici» hanno compiuto l'on. Rosy Bindi, faccio per dire, o chessò il senatore Latorre, in questi ultimi quindici mesi, mentre alcune centinaia di migliaia di italiani perdevano il loro posto di lavoro? È populista chiedersi quali effetti del «rigore» governativo abbiano subito l'on. Bondi o l'on. Cesa, sempre tanto per dire, nello stesso periodo, mentre ottocentomila famiglie italiane chiedevano la rateizzazione delle bollette della luce e del gas che non riuscivano a pagare, o decine di piccole aziende e di negozi erano costretti ogni giorno a chiudere? È populista? Forse sì, chissà. Ma allora, per passare dalle stalle alle stelle, erano populisti anche i sovrani inglesi quando decidevano durante la Seconda guerra mondiale di restare a Buckingham Palace nel cuore della Londra colpita ogni notte dai bombardieri della Luftwaffe; o forse erano populisti - e va da sé della peggior specie - anche i membri dello Stato Maggiore tedesco che nell'autunno del '42 decidevano di consumare alla mensa di Berlino lo stesso misero rancio che a qualche migliaia di chilometri di distanza consumavano i loro commilitoni assediati senza speranza a Stalingrado.
Eh sì, orribili populisti, ci assicurerebbero i sapientissimi nostri intellettuali che sermoneggiano in ogni sede su che cosa è la vera democrazia. Sì, tutti populisti: come Beppe Grillo, naturalmente, e chi lo ha votato.
Si dà il caso tuttavia che le classi dirigenti vere, i veri governanti, facciano proprio questo, guarda un po': specie nei momenti critici, cioè, cercano di mettersi allo stesso livello della gente comune, di condividerne pericoli e disagi, e in questo modo di meritarne la fiducia. Non vanno ogni sera in tv da Bruno Vespa o da Floris, o da Santoro (in trasmissioni che, sia detto tra parentesi, mostrandone la vuotaggine parolaia hanno contribuito come poche cose a disintegrarne l'immagine). Una classe politica che ha il senso del proprio onore e delle proprie funzioni deve essere capace di sentire quando è il momento di stare dalla parte dei suoi concittadini. Se non lo sente, ecco che allora sorge inevitabilmente a ricordarglielo il cosiddetto «populismo».
Certo, il populismo si limita perlopiù a invocare comportamenti diversi, denuncia ingiustizie e latrocini, insiste sulla moralità e sulla qualità delle persone. Non è «propositivo», come si dice; non indica vasti programmi di misure strutturali. Fa come ha fatto Grillo, appunto. Ma sarà pure lecito chiedere: c'è per caso qualcuno tra coloro che stanno leggendo queste righe che ricorda invece una vera proposta, per così dire strutturale, avanzata in questa campagna elettorale da Casini o da Bersani? E c'è qualcuno che ha ascoltato Vendola illustrare come immaginava di finanziare l'Eden che nei suoi programmi si compiaceva di dipingere per il futuro? Stranamente però non sono in molti a dare del populista a Vendola.
Volendo però entrare nel cuore della presunta assenza di proposte e di veri obiettivi politici da parte del cosiddetto populismo grillino, la domanda decisiva da farsi mi sembra questa: a conti fatti, voler mandare a casa un'intera classe politica costituisce o no un obiettivo politico (e non da poco, direi)? Costituisce o no un programma, anzi un ambizioso programma elettorale? E se la risposta è positiva, allora sopraggiunge di rincalzo un'altra domanda ancora: nelle condizioni date, qui, oggi, in questo Paese, quale altra via esisteva, per cercare, non dico di realizzare ma di affermare con forza quell'obiettivo, se non il voto per la lista di Beppe Grillo? Quale altra via esisteva per esprimere il proprio rifiuto nei confronti di una classe politica che in venticinque anni non ha saputo mettere in prima fila una sola faccia nuova? Che ancora oggi vede da un lato un vecchio leader 76enne, circondato da uno stuolo di camerieri, e dall'altro un partito, il Pd, che alla candidatura di Matteo Renzi ha saputo opporre solo la rabbia antiriformista dei vecchi oligarchi tardoberlingueriani alleati con i giovani turchi dell'apparato, entrambi oggi pronti, magari, a sostenere disinvoltamente che pure Grillo «è una costola della sinistra»? Quale altra via per protestare davvero contro una classe politica (ma non solo: né Monti né alcuno dei suoi ministri «tecnici» ha mai osato proporre alcunché, e tanto meno minacciare di dimettersi), una classe politica (ma non solo), dicevo, che travolta da scandali di ogni tipo e misura non è stata capace di inventarsi nulla, assolutamente nulla, per riguadagnare la fiducia dei cittadini?
E però non bisognava votare Grillo - si dice - per non dispiacere ai mercati e all'Europa, per non farci massacrare dallo spread. Evidentemente però molti hanno pensato che forse la qualità dei governanti è un prius rispetto a qualunque altra urgenza. Che forse una classe politica screditata e corrotta non solo alla fine non dà alcuna vera garanzia alla stessa Unione europea, ma soprattutto (ed è cosa non da poco) non garantisce un rappresentanza e una difesa adeguate degli interessi nazionali.
Questo è il punto: una classe politica chiusa nella supponenza delle sue chiacchiere e nell'impotenza del suo finto potere, la quale non ha voluto prendere atto che c'è un'Italia sempre più numerosa che non ne può più: né di lei né dei suoi partiti. Un'Italia che quindi ha fatto la sola cosa che poteva fare: se n'è inventato un altro, di partito. Praticamente dal nulla e con il nulla: affidandosi a una sorta di fool , di «matto», di buffone shakespeariano, l'unico capace, nella sua follia, di dire ciò che gli altri non potevano. Con l'augurio - che a questo punto, immagino, è di tutti gli italiani - che alla fine, però, possa esserci del metodo in quella sua follia.
mercoledì 27 febbraio 2013
populismo vero e presunto
martedì 19 febbraio 2013
Parigi, la corsa a sindaco è fra donne. Ma chi sarà la più “bobo”?
L'anno prossimo Parigi avrà un nuovo sindaco, anzi una nuova sindaca perché sarà sicuramente una donna. Ma la vera domanda che si pone l'opinione pubblica è se la prima cittadina sarà «bobo» e, se sì, quanto.
Torna di estrema attualità la definizione di «bobo», ormai più una categoria dello spirito che sociologica. Definirla con precisione è difficile, però se dici «bobo» tutti capiscono di che parli. Il termine, si sa, è la contrazione di «bourgeois bohème», borghesi bohèmien, e fu inventato nel 2000 da David Brooks, editorialista del «New York Times», nel suo fondamentale saggio «Bobos in paradise». Da allora la categoria esiste e resiste, ma con qualche aggiornamento storico e geografico.
Diciamo allora che il vero bobo parigino è una persona con un titolo di studio superiore alla media, come il suo reddito. Lavora di preferenza nel marketing, nella moda, nella comunicazione, nei media o nelle nuove tecnologie. Ama Internet, l'hi-tech, il satellite e i prodotti bio. Vive in un loft o in un ex spazio industriale riadattato, arredato con un misto di mobili di design e altri comprati dal robivecchi (il biliardino è molto bobo). I veri quartieri bobo sono il decimo e l'undicesimo arrondissement, la zona intorno alla Bastiglia, un tempo popolare o addirittura proletaria e oggi diventata il «boboland», ovviamente «très branché», insomma molto di moda. Se è un bobo gay, invece, preferisce il Marais, terzo e quarto arrondissiment.
Il bobo e la bobo hanno dei figli, dei baby bobo che giocano con giocattoli educativi di legno comprati nelle boutique del commercio equo e solidale. Si spostano con il Velib', la bicicletta pubblica, passeggiano la domenica lungo il canal Saint-Martin, vanno in vacanza in Croazia o nelle isole greche, non perdono le mostre segnalate da «Le Monde» o «Libération», amano le «musiche del mondo», il cinema non commerciale, i libri di Naomi Klein, sono favorevoli al matrimonio per tutti e votano socialista o verde. Insomma, come spiega il sociologo Eric Agrikoliansky, «sono gli eredi della "gauche caviar" degli Anni Ottanta, ma meno tentati dalle uova di storione che dal biologico...». E soprattutto saranno decisivi per decidere chi sarà la prossima sindachessa.
Ora, a sinistra la candidata c'è già. E' la socialista Anne Hidalgo, prima vice del sindaco uscente Bertrand Delanoë. Non è una bobo al cento per cento (troppo self-made-woman), però può funzionare. A destra se la giocano via primarie Rachida Dati (per nulla bobo) e Natalie Kosciusko-Morizet, che con ogni probabilità la spunterà.
E qui si apre la discussione su quanto NKM (diventare la sigla di sé stessi è, in Francia, il massimo del riconoscimento pubblico) sia bobo. «Fra egeria "aristo" (aristocratica, ndr) e amazzone "écolo" (ecologista, ri-ndr)», come la definisce l'Huffington Post francese, il percorso di NKM è in effetti atipico. Altissima, pallidissima, elegantissima, discende da una famiglia nobile di lontane origine polacche ma è sindaca di Lonjumeau, nella banlieue di Parigi. E' stata la portavoce di Nicolas Sarkozy nella sua vittoriosa campagna del 2007 e poi una ministra dell'Ecologia quasi più verde dei verdi. Soprattutto, nel 2005 posò incinta per «Paris Match» in una posa che da allora la perseguita: sdraiata sull'erba, con un'arpa accanto e un vestito di mussolina bianca. Come dire: super-iper-maxi bobo.
Il problema è che l'Ump, il suo partito, ha fatto dei bobo il grande spauracchio: una minoranza snob e radical chic, mentre l'Ump si vuole espressione della Francia sana e profonda, «la Francia che si alza presto», per dirla con Sarkò. Lo stesso Sarkò, nell'ultima campagna elettorale, quella persa, si scagliò contro l'élite bobo. «Non parlo per i bobo del boulevard Saint-Germain», tuonò, ignorando che il sesto arrondissement di Parigi avrebbe votato più per lui che per Hollande. Chiaro che una candidata criptobobo imbarazza il partito.
Non parliamo poi di Marine Le Pen, che odia riodiata NKM da quando quest'ultima ha scritto un libro contro il Front national, ribattezzandolo «fronte antinazionale». E figuriamoci i bobo. Quando ci furono nello stesso giorno i comizi conclusivi di Sarkò e di Hollande, madame Le Pen si scatenò contro «i bobo venuti dopo il brunch allo spettacolo della Concorde, prima di correre in Velib' a Vincennes per vedere se François ha una cravatta più "cool" di Nicolas. A meno che una seduta di yoga non li obblighi a rinunciare». Per Le Pen, non c'è dubbio: NKM non è solo «una bobo», ma anche «una bobo di gauche», il peggio del peggio.
NKM divide anche a sinistra. Per Daniel Cohn-Bendit, il vecchio «Dany il rosso» del Sessantotto diventato oggi «Dany il verde», che la stima, è una «écolo di destra». Per i socialisti, una «réac», una reazionaria. Per Delanoë, «una conservatrice che non ammette di esserlo». Per Hidalgo, una «che vuole servirsi di Parigi invece di servirla».
E lei? Intanto all'Assemblée nationale si è astenuta sul matrimonio per tutti, perché sa bene che per diventare sindaco di Parigi bisogna essere almeno gay-friendly (Delanoë è gay tout court). E poi nega di essere conservatrice, men che meno «réac». Ma anche di essere bobo: «Spesso quelli che dicono questo e gettano anatemi vivono in pieno centro di Parigi e non hanno mai messo piede in una banlieue come la mia» (verissimo: per il vero bobo, la civiltà finisce alla péripherique di Parigi: fuori, inizia la barbarie).
Sarà. Però, da politica abile qual è, NKM ai bobo strizza l'occhio, nel look, nelle convinzioni ecologiste, negli anatemi contro il Front national e, in generale, nel modo di essere. Il suo è un sottile equilibrismo. Deve negare di essere completamente bobo per non irritare l'elettorato di destra ma dev'essere abbastanza bobo per pescare anche in quello di sinistra. Lasciando nell'incertezza la sua appartenenza alla categoria. Bobo o non bobo? Boh.
venerdì 15 febbraio 2013
La debolezza dilagante
Mettiamo sulle spalle dei campioni le nostre ambizioni, frustrazioni, speranze, delusioni. Poi li vediamo saltare sotto l'usura della vita, Maradona con la cocaina e i guai familiari e fiscali, l'asso del ciclismo Armstrong – anche lui a lungo idolatrato per la battaglia contro il cancro - spogliato della gloria dei Tour per la pervicace e arrogante tossicodipendenza al doping, il campione del football americano O.J. Simpson accusato di avere ucciso la moglie e assolto dopo un controverso processo. I calciatori delle scommesse, Marco Pantani morto disperato. La depressione dopo il boato della folla, il libero della Roma e del Milan Agostino Di Bartolomei che si spara con la Smith&Wesson lasciando un messaggio che nessuno ascolterà: «Mi sento chiuso in un buco».
Eleviamo gli sportivi ad eroi del nostro tempo, e se devono superare un limite che li fa apparire più deboli di noi, ancor più concediamo ammirazione. Ci vendicano dalla normalità, se ce l'hanno fatta loro, anche noi oltrepasseremo le difficoltà, saremo primi al traguardo sognato.
Ma la perfezione che imponiamo ai nostri idoli maschera la nostra imperfezione
Noi sugli spalti, pronti ad applaudire i gladiatori, ad alzare il pollice felice alle loro imprese, meditiamo oggi prima di calarlo come giudici spietati: non è forse il pollice in su e in giù marchio di elogio e bocciatura su Facebook, la nostra piazza mondiale?
Come siamo disumani nel chiedere imprese ad eroi che sono solo umani, non ghigniamo alla loro caduta.