Mettiamo sulle spalle dei campioni le nostre ambizioni, frustrazioni, speranze, delusioni. Poi li vediamo saltare sotto l'usura della vita, Maradona con la cocaina e i guai familiari e fiscali, l'asso del ciclismo Armstrong – anche lui a lungo idolatrato per la battaglia contro il cancro - spogliato della gloria dei Tour per la pervicace e arrogante tossicodipendenza al doping, il campione del football americano O.J. Simpson accusato di avere ucciso la moglie e assolto dopo un controverso processo. I calciatori delle scommesse, Marco Pantani morto disperato. La depressione dopo il boato della folla, il libero della Roma e del Milan Agostino Di Bartolomei che si spara con la Smith&Wesson lasciando un messaggio che nessuno ascolterà: «Mi sento chiuso in un buco».
Eleviamo gli sportivi ad eroi del nostro tempo, e se devono superare un limite che li fa apparire più deboli di noi, ancor più concediamo ammirazione. Ci vendicano dalla normalità, se ce l'hanno fatta loro, anche noi oltrepasseremo le difficoltà, saremo primi al traguardo sognato.
Ma la perfezione che imponiamo ai nostri idoli maschera la nostra imperfezione
Noi sugli spalti, pronti ad applaudire i gladiatori, ad alzare il pollice felice alle loro imprese, meditiamo oggi prima di calarlo come giudici spietati: non è forse il pollice in su e in giù marchio di elogio e bocciatura su Facebook, la nostra piazza mondiale?
Come siamo disumani nel chiedere imprese ad eroi che sono solo umani, non ghigniamo alla loro caduta.
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