mercoledì 13 marzo 2013

Is there life after work?

Is There Life After Work?

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SANIBEL, Fla.

Kiersten Essenpreis

AT an office party in 2005, one of my colleagues asked my then husband what I did on weekends. She knew me as someone with great intensity and energy. "Does she kayak, go rock climbing and then run a half marathon?" she joked. No, he answered simply, "she sleeps." And that was true. When I wasn't catching up on work, I spent my weekends recharging my batteries for the coming week. Work always came first, before my family, friends and marriage — which ended just a few years later.

In recent weeks I have been following with interest the escalating debate about work-life balance and the varying positions of Facebook's Sheryl Sandberg, Marissa Mayer of Yahoo and the academic Anne-Marie Slaughter, among others. Since I resigned my position as chief financial officer of Lehman Brothers in 2008, amid mounting chaos and a cloud of public humiliation only months before the company went bankrupt, I have had ample time to reflect on the decisions I made in balancing (or failing to balance) my job with the rest of my life. The fact that I call it "the rest of my life" gives you an indication where work stood in the pecking order.

I don't have children, so it might seem that my story lacks relevance to the work-life balance debate. Like everyone, though, I did have relationships — a spouse, friends and family — and none of them got the best version of me. They got what was left over.

I didn't start out with the goal of devoting all of myself to my job. It crept in over time. Each year that went by, slight modifications became the new normal. First I spent a half-hour on Sunday organizing my e-mail, to-do list and calendar to make Monday morning easier. Then I was working a few hours on Sunday, then all day. My boundaries slipped away until work was all that was left.

Inevitably, when I left my job, it devastated me. I couldn't just rally and move on. I did not know how to value who I was versus what I did. What I did was who I was.

I have spent several years now living a different version of my life, where I try to apply my energy to my new husband, Anthony, and the people whom I love and care about. But I can't make up for lost time. Most important, although I now have stepchildren, I missed having a child of my own. I am 47 years old, and Anthony and I have been trying in vitro fertilization for several years. We are still hoping.

Sometimes young women tell me they admire what I've done. As they see it, I worked hard for 20 years and can now spend the next 20 focused on other things. But that is not balance. I do not wish that for anyone. Even at the best times in my career, I was never deluded into thinking I had achieved any sort of rational allocation between my life at work and my life outside.

I have often wondered whether I would have been asked to be C.F.O. if I had not worked the way that I did. Until recently, I thought my singular focus on my career was the most powerful ingredient in my success. But I am beginning to realize that I sold myself short. I was talented, intelligent and energetic. It didn't have to be so extreme. Besides, there were diminishing returns to that kind of labor.

I didn't have to be on my BlackBerry from my first moment in the morning to my last moment at night. I didn't have to eat the majority of my meals at my desk. I didn't have to fly overnight to a meeting in Europe on my birthday. I now believe that I could have made it to a similar place with at least some better version of a personal life. Not without sacrifice — I don't think I could have "had it all" — but with somewhat more harmony.

I have also wondered where I would be today if Lehman Brothers hadn't collapsed. In 2007, I did start to have my doubts about the way I was living my life. Or not really living it. But I felt locked in to my career. I had just been asked to be C.F.O. I had a responsibility. Without the crisis, I may never have been strong enough to step away. Perhaps I needed what felt at the time like some of the worst experiences in my life to come to a place where I could be grateful for the life I had. I had to learn to begin to appreciate what was left.

At the end of the day, that is the best guidance I can give. Whatever valuable advice I have about managing a career, I am only now learning how to manage a life.

Erin Callan is the former chief financial officer of Lehman Brothers

 

martedì 12 marzo 2013

Indignados in doppiopetto

Si fa presto a dire Sudamerica. Certe cose non succedono più nemmeno lì.  

 

Sembra l'ultima scena del «Caimano» ma senza il Caimano, impegnato a recitare Polifemo in una fiction sulle visite fiscali. O forse è un cinepanettone fuori stagione, «Ultime vacanze a Bananas», con Danny De Vito nei panni stropicciati di Scilipoti e l'inimitabile Santanché nel ruolo di se stessa.  

 

La storia di 150 parlamentari, eletti per ridurre le tasse ai lavoratori e restituire l'Imu ai pensionati, che invece marciano compatti sotto un tribunale della Repubblica.  

 

Pur di rivendicare l'impunità del proprietario del loro partito, contrabbandata per emergenza nazionale.  

Mi piacerebbe conoscere il parere di chi li ha votati. Immagino che avrebbe preferito vederli manifestare davanti a una fabbrica chiusa o a un ufficio di Equitalia fin troppo aperto. Il destino personale del Divo Silvio toglierà forse il sonno alla famosa casalinga di Retequattro, ammesso che esista, ma agli altri? Quelli che lo hanno scelto perché le alternative erano Monti e Bersani potranno anche non andare pazzi per i metodi della Boccassini, ma si identificano davvero nella parabola giudiziaria di un singolo uomo e nella rabbia obbediente dei suoi centurioni? Se è così, siamo perduti. Se un terzo abbondante del nostro Paese è seriamente convinto che il problema più importante, il primo di cui occuparsi, non sia il lavoro che latita o la corruzione che esagera ma l'iter processuale di Berlusconi, significa che stiamo smarrendo la speranza: non di formare un governo, ma di rifondare una comunità. 

 

Non so se sia vero che il Capo aveva sconsigliato la marcia dei suoi indignados in doppiopetto sotto il Palazzo di Giustizia. A occhio (l'altro, naturalmente), sembrerebbe la classica pantomima padronale a cui ci ha abituato da vent'anni: io non volevo, ma loro mi hanno disobbedito per troppo amore. Chiunque abbia cercato di dissuadere i berluscones da questa piazzata ne aveva però visto le conseguenze politiche irreparabili. Adesso chi accetterà di votare un governo, ma anche un Presidente della Repubblica e una legge elettorale, insieme con dei parlamentari che sono entrati in massa dentro il tribunale di Milano e si sono messi arrogantemente in posa sotto la foto di Falcone e Borsellino? Come puoi giocare a calcio con uno che ti urla in modo intimidatorio che l'arbitro è venduto?  

 

Le immagini di Brunetta e Scilipoti in occhiali da sole sui gradini del tribunale simbolo di Tangentopoli hanno fatto il giro del mondo e sono tornate qui, sotto i nostri sguardi sgranati. Fra due settimane toccherà ai parlamentari di Grillo marciare in Valle di Susa al fianco dei No Tav. La motivazione è diversa e più nobile (non foss'altro perché riguarda un interesse collettivo e non individuale), ma resta il fatto che due dei tre gruppi più folti del Parlamento si scagliano in massa come falangi nei punti caldi dell'Italia smarrita, dilatando mediaticamente lo scontro sociale anziché tentare di ricomporlo nel luogo deputato, per frequentare il quale erano stati votati. E il Pd si ritrova sul campo da solo, diviso come sempre in due squadre che giocano a chi fa più autogol. 

 

giovedì 7 marzo 2013

L'onestà della Curia

Sul "Silenzio stampa del Vaticano"  in prossimità del conclave, le speculazioni, che ne sono seguite, raccontate dalla stampa italiana, hanno ben chiarito che lo scopo era quello di zittire i cardinali americani, molto attivi nel richiedere una aperta confessione sulla corruzione e disfunzione della governance della Santa Sede.


Americani e Tedeschi hanno categoricamente affermato che vogliono un papa che riporti chiarezza e trasparenza nelle finanze vaticane, mentre i cardinali della Curia difendono a spada tratta il loro operato e tentano di porre fine alla discussione.


L'armonia che la Curia Vaticana intende mostrare fa a pugni con la evidente battaglia che si sta consumando sul campo e che è diventata manifesta , durante lo scorso anno, quando i documenti privati del papa furono trafugati e resi noti.

Documenti che narrano di una Curia totalmete inaffidabile.


La stampa italiana ha riportato che i cardinali della Curia desiderano accelerare i tempi dell'elezione del nuovo papa e hanno manifestato irritazione per la fuga di notizie sulla trasparenza della governance, richiesta dagli Americani. I cardinali curiali sono convinti che i panni sporchi non vanno divulgati e vanno lavati in famiglia.


Quanto sopra riportato è frutto di una libera traduzione  di un articolo apparso sul sito Mail.com


Osservazioni


Alla richiesta di trasparenza dei cardinali americani e tedeschi  si risponde, da parte della curia, che ha sempre gestito in modo autonomo le casse vaticane,  con un moto di stizza e imponendo il silenzio stampa.

Nelle stanze vaticane si capovolge il tessuto narrativo, si pensa  di accomodare la Verità con piccoli artifizi e viene  totalmente oscurata la necessità di una via della trasparenza.

"Siamo sempre stati onesti", dichiarano in coro i curiali, ma non hanno alcuna voglia di chiarire nè di esplicitare i bilanci. 




 

mercoledì 6 marzo 2013

I sussidi di povertà

Un neopopulismo rilanciato nelle piazze, in tv e nei social media dove il leader salta mediazioni e controlli, ignora o umilia la stampa locale, flirtando con i media internazionali. Un modello ibrido, dove si vota per il capo ma poi lo si lascia lavorare in silenzio, dove per i poveri non si creano scuole, sanità, istruzione, lavoro, promozione sociale, ma li si droga di sussidi che ne alleviano le pene, 

lunedì 4 marzo 2013

Scorciatoia alla povertà o decrescita salutare?

Nel programma dei cinquestelle vi sono anche alcuni passaggi condivisibili, per carità, ma nel suo insieme, se letto bene, è una straordinaria scorciatoia alla povertà.

Alla decrescita infelice.

E il consenso delle urne non attenua la pericolosità di alcune proposte, come la settimana lavorativa di 20 ore (chi paga?). Vanno però compresi e non sottovalutati il malessere e il disagio di un voto di massa, effetto della disoccupazione, della precarietà, della caduta dei redditi, dell'aumentata disuguaglianza sociale, della protervia dei partiti che votano sacrifici immediati (le pensioni e le tasse) e ritardano il contenimento dei propri abnormi costi. Ma in un Paese serio non si può restare appesi per settimane dopo il voto alle labbra di un capo politico (non c'è più nulla di comico) che se ne sta a casa sua o ai proclami millenaristi del suo guru, peraltro non votato da nessuno. 

Senza alcuna sicurezza: la deriva

Stramaccioni non sbaglia mai poco, o sono grandi errori o grandi partite. È uno dei classici fra quelli che hanno giocato poco a calcio: inventano, sono fanatici dei cambiamenti perché non hanno sicurezze. Ma se trovano la soluzione è per sempre, davvero un po' come Sacchi. Stramaccioni in questo momento è un'officina freudiana, piena di doppi sensi e marcature in cui il calcio si incontra con la vita e ne fa confusione. Le sue squadre finiscono per avere un ordine preistorico, un loro talento barbaro per il campo di gioco. Stramaccioni non sarà un equivoco ancora a lungo, sbaglia o indovina troppo per lasciare che i dubbi crescano. Basterà qualche mese per capire. Ma l'individuo è tutt'altro che banale, valeva l'esperimento. In sostanza Palacio fa la differenza fra qualunque ideologia, come decidere che lo zucchero del cibo è la base del pensiero, senza, esiste davvero solo la deriva. Anche stavolta l'Inter ha sbagliato e corretto, mantenendo il dubbio sulla qualità finale. Ha avuto giocatori, non l'idea originale. È stata una grande squadra a metà. Difficile dire se basterà per il risultato finale.