Non c'è nulla di traumatico nelle espulsioni e nelle fuoriuscite dei dissidenti dal M5 Stelle.
Non avranno effetti epocali né sulla vita del M5 Stelle né sul governo Renzi. In un'organizzazione appena nata, in cui ci si conosce poco e c'è dentro un po' di tutto, le tensioni e i conflitti tra gli «eretici» e gli «ortodossi», i «dialoganti» e gli «integralisti» sono la norma.
Beppe sa benissimo che è molto meglio avere un gruppo di parlamentari coeso e che marcia compatto, piuttosto che senatori e deputati a briglia sciolta. E sa anche che i voti continua a prenderli lui, non certo i quattro sparuti senatori di cui tra un mese non parlerà nessuno.
Serrare le file e procedere compatti. La stessa strategia utilizzata da Umberto Bossi nel 1992 quando decise di far cadere il governo Berlusconi, nonostante le ribellioni assai violente dei suoi parlamentari. Ai quali non sembrava vero di aver messo piede nel palazzo… e il loro capo già chiedeva di sbaraccare tutto e andare a casa.
Nei partiti leaderistici e personali, è il capo che detta l'agenda e decide. Chi esce rischia di cadere nell'oblio.
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