venerdì 4 luglio 2014
il tramonto di una immaginaria avventura
Hampstead, leggere e declamare Dante. "Segui il tuo corso, e lascia dir le
genti". Questo famoso verso del gran fiorentino rafforza il suo disinteresse
verso la superficialità della opinione pubblica e chiude la prefazione alla
prima edizione del 1867 aprendo la trattazione del libro I de "Il Capitale": la
merce, lo scambio, il denaro….
Marx, togliendosi dalla chiacchiera, si volge a ciò che è reale, che
hegelianamente è anche razionale, cioè già illuminato da altri studi ma anche
da "pratiche" (sociali e politiche) di uomini in carne ed ossa. Al contrario,
lo spazio mentale di SEL, che in compendio, come il Bignami, riassume tutti i
mali della sinistra anti-marxiana, è di volgersi all'inverso dal reale all'
immaginario soggettivo, al dir delle genti.
In questi anni a partire dall'aver visto una "cosa" (un osso? un sasso?) di
Occhetto, la mente di tutta l' "intellighenzia" di sinistra, moderata o
radicale, ha avuto questa fortissima inclinazione soggettivista, tanto evidente
nella retorica assai demagogica del "dobbiamo fare" e di tutta la declinazione
dei verbi di volontà a fronte di un'analisi infantile e manichea della realtà
ridotta a "il grande male è Berlusconi".
Di questo schema agostiniano (il problema dell'origine metafisico, a-storico,
del male) SEL - cioè la fase suprema del pensiero antidialettico – è la
sublimazione, il prodotto perfetto.
A differenza dei più prosaici cugini del PD, che non avendo alcuna ambizione
critica erano consapevoli di usare l'argomento Berlusconi per intorpidire il
popolo – uso ideologico – tant'è che hanno sempre spartito insieme a lui (al
male) quel che c'era da spartire e poi, adesso, alla "prosa della prosa", ci
fanno direttamente governi e accordi, i poeti dell'ecologia e della libertà
hanno tanto creduto a quello schemino che ci hanno costruito su un mondo
intero: quello abitato da omofobi, stupratori, fascisti e maleducati, mutatis
mutandis simile a quello securitario narrato dalla destra fatto di immigrati,
zoccole, comunisti e scippatori (non organizzati in cosche).
Dentro questo mondo senza tempo, perché senza attinenza ai processi generativi
di inumanità e senza lo spazio del dominio del Capitale sugli uomini, dentro
questo mondo inerziale è stato possibile disegnare una manfrina politica
moralistica, fatta di diritti individuali, di cultura della diversità promossa
omogenea, di legislazione speciale spettacolare (es. il femminicidio). Insomma
baloccarsi, questo sì, nell'anti-politica, nell'azione assolutamente inefficace
perché già nelle corde della "compiuta peccaminosità" capitalistica, come
chierici del relativismo che permette già tutto.
Nel suo senza tempo storico, SEL ha imbambolato e fissato gli eremiti di una
rivoluzione che fu, al fu, alla società patriarcale, mentre il mondo è senza
famiglia come attestano i meninos de rua, i bjesprizorniki ucraini, l'abbandono
dei bambini di strada, oppure alla vigilanza antifascista nel mondo della
compiuta liquidazione oligarchica della democrazia.
Soprattutto questa modalità soggettivistica-agostiniana di guardare all'
indietro il mondo ha finito per obliare lo spazio del popolo nella sua
condizione materiale, fatta di lavoro sempre sofferente anche quando c'è, e
disprezzare la sua cultura passionale, spesso irrazionale ma riflessa misura
dello sfruttamento.
Nel bon ton della Boldrini come nell'impegno a contrastare il populismo c'è
tutta la cifra di questo distacco, mentre la frequente locuzione vendoliana di
"dolore sociale" è apparsa più chiara quando si è dipinta sui volti preoccupati
dei dirigenti eletti, "addolorati" per la perdita di poltrone e di reddito.
Era inevitabile il tramonto di un'avventura immaginaria. Rimane la realtà
complessa nel suo farsi e da studiare sulle tracce di Marx.
giovedì 29 maggio 2014
Comprarsi la servitù
vendere l'indipendenza per comprare la quiete della servitù, e finisce per
odiare tutti coloro che cercarono di risvegliarlo dal suo letargo».
domenica 11 maggio 2014
Il tradimento uccide gli amori già morti
Perché, se Leonardo è la mia anima prescelta e io sono la sua, e su questo non ho dubbi, essere "la grande prova uno dell'altra" da un certo punto in poi ci è sembrata una maledizione anziché un'occasione? Perché con lui non ero abbastanza felice? Perché lo ero completamente, e ho avuto paura? Perché non avevo più energie, perché ne avevo troppe, perché mi sono sentita all'improvviso vecchia, perché mi sono sentita all'improvviso giovane? Perché l'uomo con cui l'ho tradito, quando è venuto al ricevimento dei professori per parlare di suo figlio, ha invece cominciato a parlarmi di sua moglie, che è morta tre anni fa e gli manca tutti i giorni? Perché a quel punto ho sentito che anche a me Leonardo, pure se ogni mattina ci svegliavamo vicini e ogni notte vicini c'addormentavamo, mancava tutti i giorni? Perché volevo riempire io il vuoto che quell'uomo ha dentro? Perché volevo dimenticarmi del mio? Perché? Filemone, perché l'ho tradito?
Hai ragione, eravamo in caduta libera e chi ci stava attorno certamente non ci ha aiutato. Se mi sfogavo con le mie amiche o con mia madre, loro mi davano ragione su tutto ed erano sempre pronte a scagliarsi contro Leonardo e forse gli amici di Leonardo facevano lo stesso contro di me. Ma degli altri mi interessa fino a un certo punto, sei tu che mi insegni che, se vogliamo cambiare loro, prima dobbiamo cambiare noi, no? E allora dimmi perché. Perché l'ho tradito. C'è chi sostiene che, se succede una cosa del genere, significa inevitabilmente che l'amore era già finito e noi non ce ne eravamo accorti. Ma io ti assicuro che non è stato così. Me ne accorgo giorno dopo giorno,
anche grazie a te: non avevo mai smesso di amare Leonardo, come appunto succede fra anime prescelte. Mi credi? Mai, avevo smesso. Eppure l'ho tradito. Perché? Perché.
Giò
Un tradimento uccide soltanto gli amori già morti. Quelli vivi, sai, li può addirittura vivificare. Come tutti i traumi, rappresenta un'occasione per evolvere, dal momento che devia il corso delle cose. Ma non analizzarlo con la pancia e la testa, i tuoi strumenti preferiti. Ascolta ciò che sta in mezzo, Giò: niente ragiona meglio del cuore. Tu hai tradito Leonardo perché non potevi farne a meno. Pensi sia stato un evento improvviso e casuale, ma nella vita tutto ha un senso e anche gli imprevisti sono il risultato di una serie ininterrotta di decisioni inconsapevoli. Tu hai tradito il tuo uomo perché dentro hai un vuoto e ti sforzi di colmarlo in qualche modo. Lui non basta. Lui non ti basta. E non puoi fare finta che quel vuoto non ci sia. Se ti fossi repressa, il disagio sarebbe esploso comunque. Magari sarebbe stato Leonardo a innescare la miccia.
Il tradimento non esiste. E' solo il tentativo del tuo sé di colmare quel vuoto. La pancia, sede delle emozioni, trasmette il disagio al cervello biologico, che lo risolve nel modo più spiccio. A quel punto ti ritrovi a un bivio: o prendi la salita e ti metti in discussione, oppure scegli la discesa e rompi la relazione. Si formeranno altre coppie, che non avendo risolto il problema di quel vuoto continueranno a tradirsi all'infinito. E si troverà sempre uno scrittore, uno psicologo, un deluso travestito da cinico pronto a sentenziare che la vita è soltanto questo: il luogo delle emozioni fugaci, del deperimento inesorabile dei corpi e dei sentimenti.
Se ascolti il cuore, Giò, ti racconterà un'altra storia. La storia di una sete che nessuno, se non te stessa, può placare. Staccare la mente è la condizione per togliere il sonoro alla vita e riuscire finalmente a sentire il sussurro del cuore. Immagino che ti dirà che non hai alcun bisogno di essere perdonata. Che con il tradimento hai semplicemente evidenziato una situazione. E' che è stato il tuo cervello a versarci sopra il senso di colpa. Quando diventi consapevole che nessuno potrà mai colmare il tuo vuoto, allora sarai pronta per un'altra persona. Leonardo o chi per lui - perché io non darei per scontato che sia lui - potrà farti sentire meglio. Ma se non sarai stata tu a darti pace, prima o poi rovinerete tutto di nuovo.
Ricordati che l'amore perfetto non esiste. Quello reale é la somma di tante imperfezioni. L'amore più duraturo è spesso il più improbabile. E' appena smetti di inseguire l'amore perfetto che ti metti in gioco davvero. Cominci a prendere dalla vita ciò che ti dà e non deleghi più a nessuno il potere di decidere il tuo stato d'animo. A Leonardo, o a chi sarà, darai tutto ciò che potrai e vedremo se gli basta. E se gli basta sarà amore, secondo i luoghi comuni. In realtà sarà un modo lieve di convivere: avrai trovato un alter ego con il quale andare avanti nell'esperienza della vita. Perché, quando la passione finisce, resta la tolleranza: un lago enorme dove accogli l'acqua dell'altro senza farla tracimare. Se Leonardo ti ha lasciato perché lo hai tradito, allora non so se ti ama davvero. Sono tutti bravi a dire "amore" ma poi ci mettono così poco amore in tutto ciò che fanno. Chiamano amore una dipendenza o un'abitudine. Giò, ti suggerisco un esercizio. Camminare un'ora al giorno. Così ricorderai al tuo corpo che deve mutare punto di vista e sganciarsi dai soliti schemi. La vita non è un'abitudine. E' un'impresa che devi compiere da sola, con l'aiuto di tanti e la protezione del tuo
Filèmone
domenica 27 aprile 2014
intervista a Diego Fudaro di filosofico.net
Diego Fusaro, ricercatore in Storia dellaFilosofia presso l'Università San Raffaele, è uno studioso di Marx, di Hegel e della tradizione dell'idealismo italiano. Oltre ad aver creato a 16 anni il sito Filosofico.net, il più cliccato per il settore, ha scritto libri importanti come "Bentornato Marx", "Minima Mercatalia", "Essere senza tempo", "Idealismo e prassi. Fichte, Marx e Gentile" ed è segretario delle due collane di filosofia Bompiani "Testi a fronte" e "Il pensiero Occidentale" dirette da Giovanni Reale.
L'Italia e la crisi. C'è un aspetto tipicamente italiano nell'affrontare una crisi economica che fa impallidire quella del '29?
La crisi che stiamo vivendo non è, ovviamente, solo italiana. Personalmente, ritengo che l'aspetto più drammatico dell'odierna crisi globale stia nel fatto – del tutto coerente con le logiche di sviluppo del capitalismo post-1989 – che essa non venga percepita e affrontata come un prodotto storico e sociale, ma come un fenomeno naturale inemendabile, come un terremoto che non abbiamo prodotto e da cui non possiamo salvarci. Ciò vale a maggior ragione in Italia, dove la crisi è vissuta come l'analogon della peste dei Promessi sposi: lungi dall'essere considerata l'esito delle politiche neoliberali, la crisi è presentata dall'ordine del discorso dominante come una realtà minacciosa e indipendente dall'agire umano, un flagello naturale da cui – in attesa che cessi così come è iniziato – è possibile salvarsi unicamente in forma individuale, in coerenza con l'odierno individualismo trionfante.
Gramsci parlava di "cretinismo economico". È questa una delle malattie italiane? La finanza che detta le leggi alla politica?
È una malattia, certo, ma non solo italiana. È la patologia tipica dell'era della tecnica capitalistica e della sua "immagine del mondo", incentrata – come sapeva Heidegger – sulla riduzione dell'essente a pura quantità calcolabile, misurabile e illimitatamente sfruttabile. Gramsci come Gentile – i due più grandi filosofi italiani del '900 – ci insegnano che la realtà non coincide con una fredda somma di dati oggettivi che chiedono di essere asetticamente registrati dal pensiero calcolante, cifra dell'odierno "cretinismo economico". Al contrario, è la risultante di una costruzione e di una mediazione simbolica operata dalla coscienza umana che si determina storicamente: è l'esito di un fare soggettivo che può sempre da capo essere trasformato, con buona pace della mistica della necessità oggi dominante sotto il cielo. La finanza come espressione del monoteismo del mercato e del fanatismo dell'economia segna il trionfo di quest'oblio dell'uomo e della cultura, ma poi anche del senso della possibile trasformazione socio-politica dell'esistente.
Come giudica lo stato della scuola e dell'università italiane?
Anche in questo caso, la situazione è tragica, ma non seria. Nella notte del mondo propria del fanatismo dell'economia, tutto è ridotto al rito del consumo e dello scambio, alla fanatica liturgia della circolazione senza misura. Non vi si sottrae nemmeno più la scuola. Valutati secondo un demenziale sistema di "debiti" e "crediti", gli studenti delle scuole secondarie siano oggi ministerialmente definiti "consumatori di formazione"; i presidi sono sviliti a manager d'azienda, e la lingua greca è sostituita da una orwelliana neo-lingua, l'inglese non di Wilde e di Shakespeare, ma dello spread e della spending review. Ciò segnala l'avvenuta riduzione, in forma compiuta, dell'umano a merce, della nuda vita a funzione variabile della logica mercatistica. Mai prima d'oggi la forma merce si era elevata a mezzo di comunicazione totale di una cultura.
Nel mondo globale la cultura italiana sembra marginalizzata. Colpa della globalizzazione o dell'Italia?
Colpa di entrambe, direi. Della globalizzazione, giacché essa consiste non certo in un pacifico universalismo che diffonde la cultura e le tradizioni diverse, ma in una perversa logica di reductio ad unum, con cui la pluralità linguistica e culturale dei popoli viene annientata in nome dell'unico profilo globalizzato del consumatore. Ciò è la negazione perfetta della cultura, dato che quest'ultima esiste solo là dove vi siano almeno due culture che dialogano e si relazionano. Ma poi è anche colpa dell'Italia, giacché – Gramsci docet – ha da sempre, inscritta nelle sue radici, una vocazione cosmopolitica e non nazionale della cultura: vocazione che oggi culmina nell'osceno oblio della lingua nazionale, sostituita da indecorosi inviti a parlare in inglese; ma poi anche nella vergognosa rimozione degli autori e dei pensatori della tradizione italiana: chi studia ancora, ad esempio, i grandi Croce, Gramsci e Gentile?
La corruzione è un cancro del paese. Da cosa dipende la mancanza di senso dello stato e di senso etico da parte degli italiani?
Da molteplici fattori, temo. È difficile per me giudicare l'Italia e gli Italiani, poiché io stesso sono italiano: e, per inciso, sono fiero di esserlo. Provo un disprezzo totale per chi (a destra come a sinistra) sta distruggendo l'Italia oggi, svendendola alla finanza europea e annientando la cultura italiana, di cui bisognerebbe invece essere fieri. Ad ogni modo, credo che la ragione principale della corruzione e dallo scarso senso statale ed etico del nostro popolo debba essere ravvisata non solo nel fatto che siamo pervenuti solo tardi a un'unità statale, peraltro più fragile rispetto a quella di altre realtà europee. Accanto a questo motivo, vi è quello – sia detto al di là di ogni troppo facile retorica – che abbiamo avuto le peggiori classi politiche di sempre.
A suo giudizio la presenza del Vaticano è negativa per lo sviluppo civile del paese? Giovanni Gentile, filosofo da lei studiato, era contrario ai Patti Lateranensi…
È una domanda difficile. In questo, resto hegeliano: la Chiesa dev'essere non sullo stesso piano dello Stato, ma sottomessa ad esso. E, tuttavia, la presenza del cristianesimo in Italia è, per molti versi, positiva: come insegna Gentile, là dove non arriva la filosofia, è giusto che arrivi la religione. Prova ne è, oltretutto, che, morto il marxismo, il solo oggi a farsi carico della questione sociale, se non altro a livello simbolico, è Papa Francesco: là dove la cosiddetta sinistra si è del tutto deproletarizzata (ha cioè abbandonato ogni interesse per gli ultimi e per i lavoratori), proprio mentre la società si è venuta sempre più proletarizzando, complici anche le oscene logiche del precariato. Se per laicità intendiamo il giusto riconoscimento della libertà di coscienza e delle sue conseguenze in ogni campo, allora io sono laico al cento per cento. Se per laicità intendiamo l'armata Brancaleone dei laicisti à la Odifreddi o à la Flores D'Arcais, che trasformano la laicità in un fronte integralista e fanatico nemico di ogni religione, allora non sono laico e credo anzi che il laicismo sia una patologia pericolosissima.
Lei è molto giovane. Cosa pensa dei giovani italiani?
Non penso affatto di essere giovane. Ho 30 anni, poco mi manca per essere "nel mezzo del cammin di nostra vita", come cantava il Poeta. L'ultracapitalismo flessibile e precario è per sua stessa natura "giovanilistico": se oggi si è considerati "diversamente giovani" fino a cinquant'anni, questo accade perché si è idealmente precari fino al termine della propria attività lavorativa sia nella vita sociale, sia in quella affettiva, incapaci cioè di stabilizzare la propria esistenza nelle tradizionali forme familiari (non a caso continuamente irrise come istituzioni borghesi del passato) e lavorative (il posto fisso e stabile, garantito e, dunque, tale da rendere possibile la stabile progettazione di un futuro). Con la grammatica di Marx, i giovani di oggi sono la prima generazione disintegrata nella struttura e integrata nella sovrastruttura: costretti al precariato e alle forme contrattuali più meschine, essi non oppongono resistenza all'esistente, accettandolo in forma irriflessa come una sciagura ineluttabile.
Ha fiducia nel futuro del nostro paese?
Con Gramsci, pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà. L'Italia versa attualmente nella situazione più tragica dal tempo di Attila ad oggi: il progetto criminale impropriamente detto "Europa" – sarebbe meglio chiamarlo "eurocrazia" – è il modo in cui la finanza sta distruggendo il nostro Paese amato dal sole e dal debito. Ma non tuttoè perduto. Siamo ancora in tempo per invertire la marcia e per riprenderci tutto. Il primo gesto da compiere è abbandonare l'euro e tornare alla sovranità nazionale. Ci vuole un moto d'orgoglio, occorre trovare la fierezza di essere italiani o, come diceva Gentile, "sinceramente zelanti di un'Italia che conti nel mondo, degna del suo passato".
giovedì 24 aprile 2014
Un padre amareggiato
Ho tentato di immaginare quale stile potesse esprimere al meglio la mia delusione ma non è garantito che ci sia riuscito.
Egregio Signor Giudice,
nella totale impossibilità di discutere con mia figlia, che ha cominciato ad evitare la casa dei genitori come la casa degli appestati, mi rivolgo a Lei che si imbatte quotidianamente nei casi più disparati e a volte, come spesso succede per le nostre umane avventure, piuttosto lancinanti, e rivolgo a Lei la mia richiesta di esaminare il caso di un padre sconcertato e deluso.
La ricerca della felicità ad ogni costo acceca e fa perder a tutti noi di vista le relazioni che abbiamo intessuto negli anni, tutti gli amici che abbiamo fatto salire a bordo, oltre a tutti quelli che sul treno c'erano già prima, e che hanno costantemente e diligentemente tenuto il treno sui binari.
Ebbene tutto questo la nostra ragione, folle di un desiderio momentaneo, è in grado di sovvertire.
Giunge, la nostra ragione, a voler far deragliare quel treno in movimento..
Ma tutto questo mi riporta alla vicenda di Esaù e Giacobbe.
Affamato dopo aver passato la giornata a girovagare e a trastullarsi Esaù trovò in casa il fratello Giacobbe ai fornelli, pronto a scodellarsi un gustoso piatto di lenticchie.
Ebbene Esaù per quel piatto di lenticchie vendette la sua primogenitura, che a quel tempo voleva dire rinunciare a tutti i beni paterni che avrebbe ricevuto da Isacco.
C'è da dire che Giacobbe era di certo un gran filibustiere e conosceva la balordaggine del fratello.
Un piatto di lenticchie per la primogenitura.
Adesso, Egregio Signor Giudice,
a me pare che altrettanto stia capitando a mia figlia, che ha deciso di approfittare di un piatto di lenticchie, e proseguendo anche con il primo paragone, ha intenzione di far deragliare quel treno su cui non è l'unica passeggera.
Mi viene in mente anche un evento recente, la scomparsa del Boeing 737 al largo dell'Australia, inabissato da un pilota che aveva fretta di raggiungere quella promessa coranica che fa riferimento alle vergini da possedere e ad un bel posto caldo.
Un pilota incurante che all'interno dell'aereo c'erano altri 238 passeggeri che non avevano alcuna intenzione di accodarsi al suo desiderio folle.
Sulle cause del deragliamento avrei molto da dire, ma forse ad un padre conviene tacere.
Una cosa mi è chiara: non intendo avallare né contribuire in alcun modo ad una scelta che considero inopportuna, scellerata.
E per meglio chiarire questa mia indisponibilità mi rivolgo a Lei e Le chiedo:
può un padre rinunciare alla patria potestà, visto che non serve a nulla e che non posso ragionare con mia figlia che non vuol sentire ragioni diverse?
Quello a cui non rinuncio è il bene dei miei nipotini. Credo in loro e di loro ho bisogno, e visto i gravi problemi sentimentali insorti tra i genitori, chiedo il loro affido.
Sperando di non averla infastidita Le invio i miei più cordiali saluti
un padre sconcertato e deluso
P.S.
Mi scusi ma non ho trovato un termine migliore di patria potestà per esprimere il mio disagio, ma so bene che non posso avvalermi di esso su una donna maggiorenne e con prole. Ma mi sembrava adatto ad esprimere la mia delusione ed amarezza.
venerdì 18 aprile 2014
I mercati e la vita umana
La tragedia attuale, quella che condanna milioni di persone in carne ed ossa ad una vita di stenti ed inquietudini, viaggia sulle ali di un dogma di fede che tutti i peggiori lestofanti in forza al mainstream ripetono in coro (e a pagamento): i mercati non capirebbero. Prima di approfondire l'effettivo grado di empatia che i suddetti mercati provano nei confronti dei comuni mortali, sarebbe forse il caso di sciogliere un paio di oscuri enigmi raramente meritevoli di seria e puntuale trattazione: 1) Chi cazzo sono "i mercati"? 2) Per che cazzo la mia vita deve dipendere dagli umori degli stessi? Difficilmente troverete mai un giornalista disposto ad avanzare in diretta domande di questo tipo al cospetto di politicanti alla Matteo Renzi o di soloni illuminati alla Sergio Romano.
Nel caso lo facessero, infatti, correrebbero il concreto rischio di assistere al noto rito dello "stracciamento delle vesti" già in voga fin dai tempi di Caifa. Tutti sanno che discutere il dogma significa abbracciare la strada dell'eresia, dell'empietà e della perversione. Ma siccome noi de Il Moralista sappiamo che solo i grandi peccatori possono trasfigurarsi in grandi santi, proseguiamo dritti per la nostra strada sprezzanti del pericolo. Quindi, ricapitolando, chi sono questi benedetti "mercati"? Proviamo a fare luce nelle tenebre usando il ragionamento.
Considerato che l'ambizione massima che ci unisce e ci conforta è quella di vedere i mercati finalmente "rassicurati", è plausibile ritenere con ragionevole certezza due cose: che i mercati provano sentimenti, e che i mercati agiscono su base razionale. Ora, queste due attitudini mal si conciliano con l'alone di neutra freddezza che accompagna la pubblica rappresentazione dei "mercati". Il patos, l'inquietudine, la speranza, la fiducia e così via sono categorie che attengono perlopiù alla dimensione degli uomini. Ma, guarda caso, chi utilizza strumentalmente lo spauracchio del mercato inquieto non correda mai la contrita denuncia di nomi, sigle o volti. Perché? Perché un dioscuro fintamente immateriale induce nel popolino un rispetto atavico e ossequioso, identico a quello che consigliava alle popolazioni primitive di esperire periodici sacrifici nella infantile e sciocca speranza di rabbonire divinità capricciose e imperscrutabili. Chi non ha paura dell'ira degli dei dell'olimpo, però, dovrebbe quindi preliminarmente sforzarsi di tradurre in termini più visibili e terreni il concetto stesso di "mercati". Uscendo dal mythos, la prima cosa pratica che mi viene in mente riguarda la necessità dello Stato italiano di piazzare i titoli sul mercato. Da quali soggetti è composto questo mercato di potenziali acquirenti? Da Bce, Banca d'Italia, assicurazioni, investitori esteri e famiglie (clicca per leggere). Quindi è ora possibile dare un volto più preciso ai fantomatici mercati, termine generico che racchiude una molteplicità di soggetti potenzialmente interessati all'acquisto di titoli. Bene, a questo punto riflettiamo sulla bontà o meno delle fesserie più in voga del momento.
Fesseria numero 1: "Se i titoli restano invenduti a causa della mancata fiducia che i mercati nutrono nei confronti dello Stato che emette i titoli si rischia la catastrofe". Fesseria numero 2: " Il consolidamento fiscale e le riforme strutturali rappresentano l'unico modo per rassicurare i mercati circa la solvibilità dello Stato che emette titoli". Decidere di affidare le sorti di uno Stato sovrano ai capricci di sceicchi, tecnocrati, banchieri d'affari o speculatori di professione è una scelta politica, mai una necessità. Nelle tavole di Mosè tale argomento non è infatti trattato. Fino al 1981 in Italia il Tesoro era tutt'uno con la Banca d'Italia, per cui lo Stato provvedeva in autonomia a finanziare direttamente la sua spesa, senza dover andare in giro per il mondo a mendicare un piatto di lenticchie. Anche l'odierna Bce, in presenza di volontà politica, avrebbe potuto fare nel recente passato simili operazioni.
Non le ha fatte sapendo che solo per il tramite della "sofferenza" e della "paura" (Padoan docet) i popoli si sarebbero infine rassegnati ad accettare l'erosione continua e violenta di salari, stato sociale e diritti. Tutto chiaro? Nuova questione. Quando Letta prima e Renzi ora vanno in giro nelle capitali finanziarie del pianeta a chiedere ai magnati globali di investire nell'Italia che accelera sulla strada del cambiamento, secondo voi, di quale tipo di messaggio si fanno interpreti e corifei? Ve lo dico io. Di quello che affibbia al capriccio del privato il compito di assicurare una qualità di vita dignitosa ai milioni di disoccupati volutamente creati, confinando il ruolo dei pubblici poteri all'interno di un angusto recinto fatto di complicità e irrilevanza. Per figuri come Monti, Letta e Renzi, il compito principale della politica consiste nel lisciare il pelo ai plutocrati. Gli stessi che, da decenni a questa parte, chiedono, pretendono e ottengono sempre le stesse cose: taglio dei salari, precarietà, niente welfare e niente diritti. Le istituzioni pubbliche sono occupate militarmente da uomini che perseguono interessi privati e privatissimi (tutti poi ricompensati a fine mandato con ruoli e incarichi presso quelle banche o aziende che hanno mellifluamente prima servito).
In conclusione è ora possibile rispondere pure alla seconda domanda formulata in apertura di articolo: Per che cazzo la mia vita deve dipendere dagli umori dei mercati? Perché non mi sono preso la briga di leggere, di capire, di studiare e di contestare i falsi e miserabili sicari dell'informazione che per interesse e meschinità obnubilano anche la mia mente. Aprite gli occhi, unitevi ed organizzatevi. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
lunedì 31 marzo 2014
Il complesso del tiranno
Difficile spiegare a uno straniero dell'Occidente liberaldemocratico che la fine del bicameralismo perfetto, fortunatamente sconosciuto nel suo Paese, sia visto in Italia come l'anticamera di una mostruosa «deriva autoritaria». O che un ragionevole rafforzamento dei poteri del capo del governo sia il primo passo dello sprofondamento negli abissi di un regime antidemocratico. O che l'abolizione delle Province sia l'avvio di una ipercentralizzazione tirannica dello Stato che soffoca ogni autonomia locale. Difficile spiegare i vibranti appelli contro la riforma radicale del Senato, la psicosi di una cultura così impaurita e paralizzata dallo spettro del «regime autoritario», da vedere pericoli di dispotismo in riforme istituzionali che altrove, all'interno di democrazie consolidate e sicure di sé, appaiono semplicemente normali.
Ovviamente, nel merito del pacchetto di proposte di riforme costituzionali che Matteo Renzi ha voluto intestarsi si può e si deve discutere, ci mancherebbe. Ma spingere, dopo decenni di dibattiti inconcludenti, sul tasto dell'«allarme democratico» e della «Costituzione violentata» rivela l'impantanamento in uno schema mentale squisitamente conservatore che ha impedito sin qui di avviare le riforme istituzionali, di incardinarle in un progetto razionale, senza il terrore del cambiamento e la difesa cieca di un assetto immutabile.
I nostri padri costituenti avevano ragione ad avere paura. Venivano da vent'anni di dittatura. Disegnarono un sistema in cui nessuno potesse vincere mortificando le minoranze, come era accaduto con il fascismo. Avevano il «complesso del tiranno», come dicono i costituzionalisti, e crearono un edificio istituzionale dominato dalla mediazione, dal bilanciamento estremo, dall'equilibrio perfetto, dalla lunghezza dei tempi di riflessione. Ma con il passare del tempo, e mentre questo sistema di equilibri perfetti diventava l'alibi di ogni immobilismo, l'incancrenirsi del «complesso del tiranno» ha impedito la modifica, anche la più lieve, in senso «decisionista». Da notare che gli stessi costituenti avevano previsto, regolando ogni modifica del testo costituzionale con apposite procedure di garanzia, che si potesse mutare la legge fondamentale della nostra Repubblica, almeno nella sua seconda parte, «istituzionale», pur lasciando intatta la prima, quella dei principi. Ma con il tempo si è sedimentata una distorsione conservatrice con connotati quasi religiosi di omaggio e venerazione del testo costituzionale («la Costituzione più bella del mondo»), una mistica e una sacralizzazione dello status quo che hanno portato alla scomunica tutti quegli esponenti politici (da Fanfani a Craxi, da Cossiga a D'Alema, da Berlusconi fino allo stesso Matteo Renzi) che si sono impegnati in un modo o nell'altro nella proposta di riformare le nostre istituzioni.
«Deriva autoritaria» è stata la formula magica di questa scomunica. Non la discussione sui singoli punti delle riforme, ogni volta opinabili e migliorabili, ma l'idea stessa che si possa ritoccare in una direzione più vicina al resto delle democrazie occidentali il nostro assetto istituzionale. Modificare la Costituzione è diventato «stravolgere la Costituzione». Ogni riforma «un attentato alla democrazia». Ogni semplificazione un annuncio di pericoloso «autoritarismo». Un pregiudizio difficile da superare. Gli accorati appelli di questi giorni ne sono una testimonianza.
venerdì 28 marzo 2014
Apocalittici o Integrati?
Per tutti gli anni Novanta il confronto fra integrati e apocalittici (per usare l'abusata formula di Umberto Eco) è stato al centro del dibattito sugli effetti sociali, economici, culturali e politici delle nuove tecnologie. Oggi questo conflitto sembra meno attuale a causa della sparizione, o quasi, di uno dei due campi. La voce degli apocalittici, infatti, si è fatta sempre più fievole, fino a ridursi a un vago rumore di disturbo sullo sfondo del possente coro degli integrati. Si sta dunque realizzando la profezia del più geniale degli apocalittici moderni (quel Gunther Anders che già alla fine dei Cinquanta – nel suo capolavoro, "L'uomo è antiquato" – formulò concetti ampiamente saccheggiati nei decenni successivi)?
Anders pensava che il conformismo di massa, che lui identificava con l'accettazione passiva di tutti i vincoli imposti dalla tecnologia, sarebbe inesorabilmente cresciuto, fino a divenire una potenza irresistibile, sorda a ogni voce critica. La Net Generation è forse quella destinata a incarnare tale inquietante profezia? Verrebbe da pensarlo, ove si consideri la relativa indifferenza con cui vengono accolte certe notizie. Ne cito solo due che mi hanno particolarmente colpito.
Prima notizia. A Phoenix, in Arizona, si è tenuto un convegno delle agenzie incaricate di sorvegliare il confine fra Messico e Stati Uniti. La riunione si è trasformata in una fiera commerciale in cui decine di imprese hi tech hanno presentato i loro prodotti (robot, droni, sensori e quant'altro) come strumenti irrinunciabili per la polizia di confine incaricata di "dissuadere" i tentativi di immigrazione clandestina. Dall'articolo del NYT apprendiamo che tutte queste tecnologie sono state progettate (e in parte già sperimentate) a scopo bellico.
Seconda notizia. Un articolo del Washington Post, dopo avere rivelato che il numero delle persone che non leggono libri è triplicato dal 1978 ad oggi, suggerisce due soluzioni per combattere il fenomeno, che rischia di espropriare le nuove generazioni di un insostituibile strumento di conoscenza. Prima soluzione: infarcire i libri (elettronici) di sussidi multimediali; seconda soluzione: adottare tecnologie di lettura rapida (che risolvano il problema dell'eccessiva "lentezza di fruizione" del medium, che lo rende indigesto ai giovani). In particolare viene propagandato un software che, invece di farci "perdere tempo" a leggere da sinistra a destra, fa scorrere le parole ad elevata velocità in un unico punto focale.
Due brevi commenti: nel primo caso è evidente che ci si prepara a combattere una vera e propria guerra contro la spinta demografica dei Paesi poveri verso quelli ricchi; nel secondo è altrettanto evidente che non si tratta affatto di "modernizzare" il medium libro, bensì di sostituirlo integralmente con nuovi supporti che, per loro stessa natura, appaiono inadatti a trasmettere competenze critiche (l'analisi critica è figlia della lentezza, non dell'ipervelocità!).
Ma perché scarseggiano le riflessioni "apocalittiche" su queste – e tante altre – notizie? Perché il pensiero apocalittico è fallito per il seguente motivo: i suoi cultori – a partire dallo stesso Anders – incolpano la tecnica in quanto tale degli orrori ipermoderni e, al tempo stesso, riconoscono l'ineluttabilità dell'avanzata tecnologica ("tutto quello che si può fare finirà per essere fatto, senza ragionare sulle conseguenze"). Ma ciò significa associare la rassegnazione alle profezie di sventura. Se invece tornassimo a guardare la luna e non il dito, cioè non la tecnica bensì gli interessi che essa incarna (chi vuole fare la guerra ai migranti? chi vuole spegnere lo spirito critico delle nuove generazioni?), forse avremmo una visione meno fatalista e catastrofica del futuro: certo, la tecnica non è mai "neutra", ma proprio per questo possiamo immaginare di resisterle e farle cambiare direzione e, ove necessario, "fermarla" (non tutto quello che può essere fatto deve essere fatto).
venerdì 28 febbraio 2014
Crimea in trincea
Ieri è stato come se un scossa elettrica, di quelle che saldano i metalli, avesse attraversato i cuori. Un giorno convulso di brighe pericolose.
Le città dai tempi dei tempi sono sempre state delle macchine di simboli, luoghi che in un tessuto di strade, colli, edifici religiosi e civili narrano una storia sacra. La storia di Sebastopoli è la storia russa. Il porto è laggiù, in fondo a via Lenin, diritta come un fuso, lavata e linda dalla pioggia, verde di alberi già fioriti e variopinta di passanti, con la sua selva di ciminiere fumose, di gru immense. La sirena di un rimorchiatore mugge nella foschia. La gente seduta dietro le vetrate dei caffè ha un'aria annoiata, testarda, di gente che aspetta l'ora della partenza chi sa per dove. I giovani di questa città pare attendano tutti qualche grande evento e i vecchi sembrano tornare da un lungo viaggio.
In piazza Nakimov, la statua voltata al porto come volle Kruscev quando lo rimise in sella, la folla è già riunita davanti al palazzo della Amministrazione cittadina. Alla porta un cartello: «Kiev non è l'autorità per noi». Tipi trucibaldi in tuta mimetica, bellezze stagionate e stazzonate dalla pioggia, bandiere tante, russe. Arriva un anziano circondato, entra senza sorridere, svelto. È il nuovo sindaco, ha il passaporto russo, lo ha nominato la piazza. Quello vero, scelto da Kiev, si è «ritirato». Lo applaudono. Andrj Merkulov ha il megafono, la mimetica e l'aria da capo. «Se arrivano i treni dell'amicizia…? Allora è la guerra, ma saranno loro che hanno cominciato. Noi siamo andati a Leopoli o all'ovest per dare lezioni, comandare? Per niente. Il nuovo primo ministro Yatseniuk? Ma non conta niente: lì comandano il Settore destro, i fascisti di Svoboda».
Merkulov guida le squadre di autodifesa, il rovescio di Maidan: qui difendono i monumenti russi, «sì anche Lenin, la Grande Caterina, gli ammiragli, le stele degli eroi della guerra patriottica e dei caduti in Afghanistan, l'anima di questa città, la nostra anima. Al Parlamento di Kiev, dannazione! ci sono dei nazionalisti che hanno proposto di proibire il russo, che vogliono cacciarci dal Paese».
Irrompe, da un'auto, circondato da guardie spicce, un altro anziano. È Mironov, deputato della Duma russa. Mediatore? Messo di Putin? Passa in un boato patriottico di cori e bandiere, bocche dure, sguardi sprezzanti.
Una voce lenta e ruvida. «Il mio bisnonno, mio nonno, mio padre sono stati marinai della flotta russa. Siamo russi, pensiamo in russo, la nostra identità le nostre radici. Adesso c'è qualcuno che ci vuole cacciar via. Guarda che qui sappiamo che cosa è la guerra, vai in giro, ci sono duemila monumenti in città che ricordano le battaglie, gli assedi, i massacri. Come vuoi che non amiamo la pace, ma…».
Valentina ha gli occhi come due olive nere dall'umida lucentezza bruna; Irina, smagliante, ha occhi azzurri e pelle candida. Mi fanno attraversare la piazza dove c'è Casa Mosca, il centro culturale russo, con l'amministrazione della base navale. Nell'Ottocento era l'albergo elegante degli ufficiali. «Leggi questa lapide: qui nel 1854 ha soggiornato durante l'assedio il conte Leone Tolstoj...». «Identità, identità. Russi, ucraini uffa… sai cosa leggo: Lavrenev :… Ragazzo! Ama la rivoluzione! È la sola cosa al mondo meritevole di amore… Bello, sublime. Non ti sembra che sia perfetto anche per Maidan?». E ridono come per uno scherzo riuscito.
Un porto: ecco tutto. La città non è che un sobborgo del porto, una deliziosa arnia tra la fortezze e il mare, un insieme di palazzi, alberghi, ospedali, scuole, prigioni, caserme, cimiteri, chiese, minareti, costruite nella fretta di imbarcarsi di prendere il largo prima che la flotta nemica chiuda il cerchio, un accampamento di pietra e di cemento, una raggiera di forti e magazzini dove la gente si affollava sotto le bombe, gli assedi, aspettando l'ora della partenza.
La statua di Lenin, immensa, è lassù sulla collina nuda, bianca di tufo, e pare una nave arenata su un'alta scogliera, lasciata in secco dalla bassa marea. Il braccio indica il nord: come a dire, attento se sbagli laggiù c'è il gulag, la punizione. «Far saltare tutto questo bronzo e i massi e il marmo? Ma è impossibile e poi perché: è una grande fetta di storia…».
Dietro la chiesa di un altro Vladimir, il santo, la sola che si è salvata dalle bizze staliniane. Mi portano nella cripta dove sono le tombe dei quattro ammiragli che difesero Sebastopoli contro inglesi e francesi. Sento delle donne che avvicinano il prete: «Padre, non sarebbe meglio cominciare a raccogliere medicine e bende? Se arrivano quelli da Kiev la chiesa diventerà certo un ospedale…». Il prete le guarda paziente: non bisogna spaventarsi prima del tempo… All'ammiragliato, nessun carro armato, sentinelle distratte, gli ufficiali russi entrano ed escono protetti dai loro chepì immensi come ombrelli. «Ma aspettate aiuto da Putin?». «Ci sono sessantamila russi in città, i marinai con le loro famiglie, che dici?».
La strada scende bruscamente, sparisce, in una nebbiolina sporca. Eccolo il mare in fondo alla grande rada, un grigio popolo di onde pronto all'ira, un mare duro, sgraziato, estraneo depositario di una antica tirannica forza. Il forte di Costantino e il suo grande cartello rosso e blu: onore alla marina russa, dietro i gabbioni di travi di ferro delle gru. Nella rada sud, una di quelle che la Russia affitta a caro prezzo dall'Ucraina, un nero sommergibile salpa, il ronzio delle eliche, il richiamo malinconico e selvaggio delle sirene, i rimorchiatori neri e piatti che, impennacchiati di fumo, scavano un triangolo schiumoso davanti alle prue di altre navi da guerra.
Cosa c'è di più sovietico di Sebastopoli? Fino a Gorbaciov era una città chiusa, proibita persino ai russi. Parla ancora a gran voce, della Russia sovietica, delle sue glorie e dei suoi orrori, nel ferro, nella pietra, nella rabbia degli uomini. Anche qui l'uomo davanti allo Stato onnipotente è stato rimpicciolito, la sua vita è diventata una vergogna continua, uno sminuimento incessante, la sua impotenza è sigillata e non deve più scegliere. La stagnazione eternamente provvisoria, confortevole, pigra che continua anche nella rassegnazione.
Merkulov fa grandi gesti di richiamo, urla, la gente si incolonna, scalpiccio di piedi, un litaniare languido: «A Simferopoli, la capitale della Crimea, la bandiera russa sventola sul Parlamento, i nostri sono entrati stanotte. I bus stanno arrivando, vieni anche tu, andiamo… andiamo a fermare i tatari, gli alleati di Kiev se tentano di riconquistarla».
Il convoglio parte: canti, urla, attesa febbrile. Superiamo i posti di blocco agli ingressi della città: la replica di quanto fanno nell'ovest quelli di Maidan. Sfilano immense distese di frutteti abbandonati, ovunque capanne di calcare tirate su in fretta, innumerevoli, che sembrano non essere mai state utilizzate. Merkimov mastica amaro: «Sono i tatari… ricevono le terre come compenso per la deportazione in Uzbekistan nel 1944, montano le casupole per far vedere che è terra occupata… Sono furbi i tatari. I loro capi regolano le assegnazioni, controllano gli aiuti che arrivano dalla Turchia... sono furbi i tartari». Centomila famiglie deportate, non tutte sono ancora tornate.
Andrj non ha un momento di tregua: guarda gli immensi depositi scavati nelle montagne per le munizioni e là, là ancora i cippi che Potenkin aveva piantato sul percorso della visita della sua amante imperiale, Caterina. «Tutto è nostro qui, nostro per sempre».
Urla dal fondo del bus: «Yanukovich ha ordinato ai soldati e ai marinai di Sebastopoli di mettersi ai suoi ordini, dice che il presidente è sempre lui». Risate, schiamazzi. «Fascista, traditore, settanta miliardi di dollari ha rubato».
«La radio dice che ci sono già i blindati russi a Temistenkoye, arriveranno prima di noi!». Il villaggio è lì, vuoto.
Ecco Simferopoli: grigi casamenti brezneviani, dal cielo gocciola la disperazione. Si scende, ci si incolonna, bandiere in testa, gladi cavalli rampanti, aquile plananti, cori: «Crimea, Russia». Il palazzo del governo sembra vuoto, una modesta barricata di mobili all'ingresso, pochi poliziotti tristi, nell'anima come sedimenti di tetri pensieri. I tatari, oggi, misteriosamente non ci sono.
Chiamo il loro capo, Refat Ciubarov: che fate, dove siete? Vi sfidano. «La situazione è in movimento, non dico niente». L'oscurità cala. Sul palazzo sventola sempre la bandiera russa. «Il 25 maggio con le elezioni presidenziali ci sarà un referendum per allargare l'autonomia!».
A tutto volume parte un inno, solenne, impetuoso come una preghiera. È quello che gli altoparlanti nella piazza rossa urlarono quando i soldati tedeschi arrivarono davanti a Mosca. Non ci si può toglier di dosso la materia del Tempo.
I partiti padronali
Non c'è nulla di traumatico nelle espulsioni e nelle fuoriuscite dei dissidenti dal M5 Stelle.
Non avranno effetti epocali né sulla vita del M5 Stelle né sul governo Renzi. In un'organizzazione appena nata, in cui ci si conosce poco e c'è dentro un po' di tutto, le tensioni e i conflitti tra gli «eretici» e gli «ortodossi», i «dialoganti» e gli «integralisti» sono la norma.
Beppe sa benissimo che è molto meglio avere un gruppo di parlamentari coeso e che marcia compatto, piuttosto che senatori e deputati a briglia sciolta. E sa anche che i voti continua a prenderli lui, non certo i quattro sparuti senatori di cui tra un mese non parlerà nessuno.
Serrare le file e procedere compatti. La stessa strategia utilizzata da Umberto Bossi nel 1992 quando decise di far cadere il governo Berlusconi, nonostante le ribellioni assai violente dei suoi parlamentari. Ai quali non sembrava vero di aver messo piede nel palazzo… e il loro capo già chiedeva di sbaraccare tutto e andare a casa.
Nei partiti leaderistici e personali, è il capo che detta l'agenda e decide. Chi esce rischia di cadere nell'oblio.
giovedì 27 febbraio 2014
Atto Notarile
Repertorio n. 234543 Raccolta n. 17466
COMPRAVENDITA
REPUBBLICA ITALIANA
L'anno duemilaotto, il giorno trenta del mese di settembre.
In San Vitaliano alla via Nazionale delle Puglie n.269.
Innanzi a me Dottor Claudio De Vivo, Notaio in Giugliano in Campania, con studio ivi alla via Giuseppe Di Vittorio numero 141, iscritto nel Ruolo dei Distretti Notarili Riuniti di Napoli, Torre Annunziata e Nola,
SONO PRESENTI
PARTE VENDITRICE:
DE STEFANO SABATINO, nato a Roccarainola (Napoli) il 23 dicembre 1964, residente in Roccarainola alla via Sant'Agnello n.49 - codice fiscale DST STN 64T23 H433W;
PARTE ACQUIRENTE:
SODANO SILVIO ANTONIO, nato a Napoli il 2 giugno 1982, ivi residente alla via Monfalcone n.65, codice fiscale SDN SVN 82H02 F839L;
SORRENTINO MARTA, nata a Napoli il 25 novembre 1981, residente in Torre del Greco alla via Nazionale n.386, codice fiscale SRR MRT 81S65 F839T.
I medesimi, della cui identità personale io Notaio sono certo, convengono quanto segue:
Primo - DE STEFANO SABATINO, vende a SODANO SILVIO ANTONIO e SORRENTINO MARTA, che, in comune ed indiviso ed in parti uguali tra loro, accettano acquistano la piena ed assoluta proprietà della seguente unità immobiliare facente parte del fabbricato sito nel Comune di
ROCCARAINOLA (Napoli)
alla via Sant'Agnello n.49, e proprio:
- appartamento posto al piano terra composto da 3,5 (tre virgola cinque) vani catastali; confinante con detta via, con androne comune e con corte condominiale (salvo altri o più recenti confini); riportato nel Catasto Fabbricati di detto Comune al foglio 26 - mappale 82 - subalterno 7 - via Sant'Agnello n.49 - piano T - categoria A/2 - classe 6 - vani 3,5 - Rendita Catastale Euro 244,03.
La vendita segue a corpo, con tutti i connessi diritti, accessori, accessioni, pertinenze e dipendenze, servitù attive e passive, quote proporzionali delle parti comuni del fabbricato, ivi compresi i proporzionali diritti di comunione sull'androne e sul cortile, quali risultano dall'articolo 1117 del Codice civile e dal regolamento di condominio, se esistente; in definitiva il tutto viene compravenduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, come dal possesso, dallo stato dei luoghi e dai titoli di provenienza, niente escluso od eccettuato.
Secondo - Garantisce la parte venditrice che quanto in oggetto è di sua piena ed esclusiva proprietà e libera disponibilità ed è libero da oneri o pesi reali o privilegiati, diritti parziari a terzi spettanti ed in special modo da iscrizioni e trascrizioni ipotecarie pregiudizievoli.
Garantisce, altresì, la parte venditrice di essere al corrente con il pagamento di tutte le imposte, tasse, tributi ed oneri di qualsiasi natura, compresi quelli condominiali di natura ordinaria e straordinaria, afferenti il bene alienato ed i relativi titoli di provenienza, che, comunque, fino ad oggi, cederanno a suo completo ed esclusivo carico anche se accertati, determinati, iscritti a ruolo o liquidati successivamente e, infine, che sull'immobile non vi sono conduttori aventi diritti di prelazione ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.
Terzo - Quanto in oggetto, nella remota consistenza, è pervenuto alla parte venditrice in virtù di atto di compravendita per Notaio Emilio Ruocco di Nola del 13 novembre 1985, trascritto in Santa Maria Capua Vetere il 21 novembre 1985 ai nn.19965/17419.
Quarto - Il prezzo della presente vendita è stato convenuto in complessivi Euro 63.000,00 (sessantatremila/00), mentre il valore fiscale è di Euro 26.300,00 (ventiseimilatrecento/00) tassabile ai soli fini dell'imposta di registro ai sensi del comma 497 della legge finanziaria anno 2006 in deroga all'articolo 43 del T.U. n.131/1986, così come richiesto dalla parte acquirente.
Le parti, ai sensi del D.P.R. 445/2000, consapevoli delle sanzioni penali di cui all'articolo 76 dello stesso decreto per le ipotesi di mendacio, nonchè dei poteri di accertamento dell'amministrazione finanziaria e della sanzione amministrativa prevista, dichiarano che questo atto è stato concluso senza alcuna mediazione immobiliare e che il prezzo viene corrisposto con parte del netto ricavo del mutuo che la parte acquirente contrarrà in data odierna con la "BARCLAYS BANK PLC" con atto a mio rogito immediatamente successivo. All'uopo le parti convengono che la documentazione bancaria costituirà prova dell'effettivo ed avvenuto pagamento del saldo del prezzo ed avrà effetto liberatorio per la parte acquirente.
Conseguentemente la parte venditrice accetta la innanzi descritta modalità di pagamento e rilascia quietanza.
Quinto - DE STEFANO SABATINO, da me richiamato sulle sanzioni penali per le ipotesi di dichiarazioni mendaci, ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000 numero 445, dichiara:
-- che quanto in oggetto è stato costruito in data anteriore al 1° settembre 1967;
-- che per lavori di demolizione e ricostruzione dell'intero fabbricato di cui quanto in oggetto è porzione, in data 26 giugno 1996 è stata rilasciata dal Comune di Roccarainola, concessione edilizia n.40;
-- che per lavori di straordinaria manutenzione è stata presentata denuncia di inizio attività (D.I.A.) protocollata in data 12 settembre 2008 al numero 8277. In merito alla stessa si precisa che il Comune di Roccarainola - Servizio Urbanistica, con attestazione del 16 settembre 2008, protocollo n.8394, ha dichiarato che gli interventi urbanistici dalla stessa previsti sono conformi agli strumenti urbanistici vigenti nel Comune stesso.
Sesto - Il possesso legale e materiale dell'immobile venduto viene trasferito da oggi alla parte acquirente che da oggi ne godrà le rendite e ne sopporterà i relativi oneri.
Settimo - Si rinunzia all'ipoteca legale.
Ottavo - Ai sensi della legge 19 maggio 1975 numero 151 ed ai fini delle indicazioni richieste dall'articolo 2659 del Codice civile, le parti dichiarano:
DE STEFANO SABATINO di essere coniugato in regime di separazione dei beni;
SODANO SILVIO ANTONIO e SORRENTINO MARTA di essere di stato civile libero;
Nono - Tra le parti non intercorrono legami di parentela in linea retta.
Decimo - Imposte e spese del presente atto e delle dipendenti formalità si convengono a carico della parte acquirente.
Il presente atto, è soggetto all'imposta di registro ridotta al 3% (tre per cento) ed alle imposte fisse di trascrizione e catastali, il tutto ai sensi dell'articolo 7, comma 6 della Legge 23 dicembre 1999 numero 488, trattandosi di vendita di immobile non di lusso di cui al Decreto Ministeriale 2 agosto 1969 (G.U. numero 218 del 27 agosto 1969), effettuata in favore di persone fisiche che, a pena di decadenza, dichiarano:
- di obbligarsi a trasferire, entro 18 mesi da oggi, così come previsto dall'articolo 32 comma 12 della Legge 23 dicembre 2000 numero 388, la propria residenza nel Comune di Roccarainola (Napoli), dove è ubicato l'immobile acquistato;
- di non essere titolari, neppure in regime di comunione legale dei beni, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l'immobile in oggetto;
- di non essere titolari, neppure per quote, nè in regime di comunione legale dei beni, su tutto il territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà, su altra casa di abitazione da essi acquistata con le agevolazioni previste da alcuno dei provvedimenti legislativi indicati al comma primo, lettera c), della nota II-bis) all'articolo 1 della Tariffa Parte I allegata al D.P.R. numero 131 del 26 aprile 1986.
Di questo atto, in parte scritto con sistema elettronico da persona di mia fiducia ed in parte a mano da me Notaio su due fogli per sette facciate fin qui, ho dato lettura, alle costituite parti che lo approvano.
Sottoscritto alle ore dieci.
Firmato da: De Stefano Sabatino - Silvio Antonio Sodano - Marta Sorrentino - Claudio De Vivo Notaio - Sigillo.