giovedì 24 febbraio 2011

deliri

il Colonnello sostiene di non essere interessato al potere e di non detenerne alcuno se non quello «morale».
«La Regina Elisabetta è al potere da più tempo di me, ma a lei non accade nulla» ci tiene a precisare,
spiegando di essere diventato nel tempo una specie di «leader simbolico» della Libia e
 sottolineando che la gestione della macchina statale è nelle mani delle istituzioni.
 L'avvertimento, in ogni caso, è chiaro:
 «Non è un problema di autorità delle persone, ma di terrorismo internazionale: gente malata di mente, alla quale non importa nulla della sorte del Paese e che sta distruggendo la nostra storia».
 «Dal 1977 - dice rivolgendosi al popolo - l'ho lasciato a voi. Avete il potere di gestire le cose nel modo che ritenete più opportuno».

mercoledì 23 febbraio 2011

Quale paura?

Daniel ha vent'anni e fa il muratore.

 È scomparso sabato sera nella Bergamasca dopo aver provocato un incidente.

Verso le 21.30 era in macchina con un amico, a un incrocio ha perso il controllo della guida ed è finito contro un'altra automobile con dentro tre donne.

Nessun morto, nessun ferito.

Ha fatto in tempo ad aiutare il suo amico a uscire dall'auto, ma forse non si è accorto che anche i passeggeri dell'altra macchina se l'erano cavata con qualche livido.

 Tutti illesi tranne lui, Daniel, probabilmente colpito non tanto dall'urto quanto dalla paura  che gli ha suggerito, nel primo marasma dopo il botto, di allontanarsi alla chetichella e di sparire. Lasciando dietro di sé solo un sms destinato alla sua fidanzata: «Ho fatto un incidente megagalattico. Ti amo. Addio

Oggi, nella realtà, chi ha paura (specie quando è giovane) ha paura in primo luogo di se stesso, chi non ha paura non ha paura di niente e di nessuno.

martedì 22 febbraio 2011

Essere diversi

Mi vogliono mangiare le ossa, mi vogliono mangiare le ossa». Letizia ha cinque anni e il suo urlo, quella frase all'apparenza sconclusionata gridata in faccia a padre Paolo, non è il frutto di un'allucinazione.
Essere albina, quella la sua condanna. O la sua colpa se nel mondo in cui sei capitata si idolatrano le superstizioni e alle forze soprannaturali o ai demoni si attribuisce chissà quale importanza nel far girare il cerchio della vita. Gli albini portano male - è il ritornello - ma le loro ossa, sgretolate, sminuzzate, ridotte a sabbia e mescolate in intrugli magici, no. Negli ultimi tre mesi una sua cugina - segnata dalla stessa sorte di essere «diversa» - è stata rapita. Sparita per sempre. La macabra tradizione - coltivata probabilmente da pochi adepti ma assai motivati - vuole che dalle ossa degli albini si estragga chissà quale sostanza, si faccia chissà quale pozione miracolosa. E così gli albini - la cui percentuale fra la popolazione mondiale (e non vi sono sospetti che il Congo sia diverso in questo) è di circa 1 su 20 mila - sono merce rara. E come tale preziosa. La cugina dunque è sparita qualche mese fa. E analogo destino è capitato a una sedicenne sepolta nel cimitero del suo villaggio nella zona di Goma. Ne hanno trafugato la salma, l'hanno portata via per ridurne le ossa rinsecchite in poltiglia.

Letizia è già sfuggita tre volte al rapimento. L'irruzione di alcuni uomini in casa nel villaggio dove abita è stata sventata dalle urla della madre e dall'aiuto dei vicini. Poi la fuga a Nyamilima, nella missione di padre Paolo, caracciolino, ordine dei chierici regolari minori, da oltre 25 anni missionario nel cuore dell'Africa. È a lui che Letizia chiede protezione: «Padiri (padre in lingua swahili, ndr) mi vogliono mangiare le ossa». La madre ha il volto tumefatto, i segni della lotta per strappare la figlia a morte certa.

mercoledì 16 febbraio 2011

La scomparsa delle lucciole

La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente. Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra "fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico", ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva). 
Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa. 
Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio). 
Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). 
Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole". 
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.  Prima della scomparsa delle lucciole
La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. 
Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani. 
Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione. 

Durante la scomparsa delle lucciole
In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul "Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo". Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava Marx. 

Dopo la scomparsa delle lucciole
I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia). A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste. 
In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere "totalitario" iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I "modelli" fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima. 
È ridicolo dunque che Fortini retrodati la distinzione tra fascismo e fascismo al primo dopoguerra: la distinzione tra il fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del potere democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma probabilmente nell'intera storia. 
Io tuttavia non scrivo il presente articolo solo per polemizzare su questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo il presente articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola. 
Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé. 
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli uomini di potere?". 
La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura. 
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante). 
Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre (cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole - gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere. 
Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto. 
Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico. 
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola. 

un altro racconto degli ultimi trent'anni

Da quando nella politica italiana è entrato Silvio Berlusconi, ossia dal 1994, la cultura di sinistra ha sviluppato un suo peculiare racconto dell'Italia. Secondo questo racconto chi vota a sinistra sarebbe «la parte migliore del Paese», mentre la parte che sceglie il centrodestra sarebbe la parte peggiore, evidentemente maggioritaria.

La teoria delle due Italie scattò subito, nel 1994, allorché la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto fu inaspettatamente sconfitta dal neonato partito di Silvio Berlusconi.

E da allora mise radici, costruendo pezzo dopo pezzo una narrazione della storia nazionale al centro della quale vi è l'idea di una vera e propria mutazione antropologica degli italiani, traviati fin dagli anni 80 dal consumismo e dalla tv commerciale. Una narrazione che, nel 2001, si arricchirà di un nuovo importante tassello, con la teoria di Umberto Eco secondo cui gli elettori di centrodestra rientrerebbero in due categorie: l'Elettorato Motivato, che vota in base ai propri interessi egoistici e a propri pregiudizi contro stranieri e meridionali, e l'Elettorato Affascinato, «che ha fondato il proprio sistema di valori sull'educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi». Due elettorati cui non avrebbe neppure senso parlare, visto che non si informano leggendo i giornali seri e «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina».

Vista da questa prospettiva, la vittoria del 1994, come tutte quelle successive, non sarebbe un incidente di percorso, ma l'amaro sbocco di processi di degenerazione del tessuto civile dell'Italia iniziati molti anni prima. Uno schema, quello dell'Italia traviata dal consumismo e dai media, apparentemente nuovo ma in realtà già allora vecchio di trent'anni. Era stato infatti Pasolini, molti anni fa, a denunciare - ma senza disprezzo, e con ben altra umanità - la «scomparsa delle lucciole», immagine con cui soleva descrivere la dissoluzione dell'umile Italia fin dai primi anni 60, con l'estinzione delle culture popolari sotto l'incalzare del benessere e delle migrazioni interne.

Insomma, voglio dire che è mezzo secolo che «alla sinistra non piacciono gli italiani», per riprendere il titolo del saggio con cui, fin dal 1994, lo storico Giovanni Belardelli (sulla rivista «il Mulino») fissò la sindrome della cultura di sinistra, incapace di darsi una ragione politica dei propri insuccessi, e perciò incline a dipingere l'Italia come un Paese abitato da una maggioranza di opportunisti, di malfattori, o di ignavi. E tuttavia ora, forse per la prima volta, qualcosa si sta muovendo. Qualcosa, molto lentamente, sta cambiando. Non già nei piani alti della politica, nelle segreterie dei partiti, nei palazzi del potere, bensì fra la gente comune, e fra le energie più giovani del Paese. Roberto Saviano, ad esempio, l'altro giorno al Palasharp, alla manifestazione per chiedere le dimissioni del premier, ha sentito il bisogno di dire: «Smettiamo di sentirci una minoranza in un Paese criminale, siamo un Paese per bene con una minoranza criminale». Se Saviano ha sentito il bisogno di esortare il popolo di sinistra a «smettere di credere» di essere una minoranza, vuol dire che quella credenza ancora c'è, sopravvive, nelle menti e nei cuori: una sorta di «pochi ma buoni», una rabbiosa riedizione del «molti nemici, molto onore» di mussoliniana memoria.

La sindrome della «minoranza virtuosa» è tuttora molto radicata nella cultura politica della sinistra. Ma anche qui, persino fra i politici di professione, qualcosa si sta muovendo. L'alibi dell'indegnità degli italiani comincia a scricchiolare. Matteo Renzi, sindaco di Firenze, rimproverato da un po' tutti i suoi compagni di partito (compreso il giovane «rottamatore» Pippo Civati) per essersi contaminato incontrando Berlusconi ad Arcore, ha risposto ai suoi critici più o meno così: se vogliamo vincere non possiamo partire dall'assunto che l'altra metà degli italiani, quella che non ci vota, sia costituita da cittadini irrecuperabili, dobbiamo rispettarli e conquistarli.

Saviano e Renzi hanno ragione. Così come hanno ragione quanti, in piazza o non in piazza, non si stancano di ripetere che l'Italia non è quella che emerge dai festini di Arcore e dalle intercettazioni, o quella che la cultura di sinistra si figura ogni volta che l'esito del voto punisce i progressisti. L'Italia non è berlusconiana quanto si pensa sul piano del costume (un recente sondaggio di Mannheimer certifica che il sogno di una carriera nel mondo dello spettacolo attira effettivamente solo 1 ragazza su 100). Ma non lo è neppure sul piano del consenso elettorale. Contrariamente a quanto molti credono, il berlusconismo - inteso come fiducia incondizionata nei confronti di Berlusconi - è sempre stato un fenomeno marginale. Fatto 100 il corpo elettorale, il voto al partito di Berlusconi non è mai andato oltre il 20%, e il sostegno esplicito al leader, espresso in un voto di preferenza (come alle ultime Europee), si aggira intorno al 6%. Per non parlare del trend più recente, che mostra un Pdl che attira circa il 18% del corpo elettorale, e un premier che ottiene la sufficienza da meno di un cittadino su tre.

Se questa è la realtà, occorre che la sinistra faccia un serio esame di coscienza. Che provi a inventare un altro racconto degli ultimi trent'anni. Un racconto senza alibi e autoindulgenze, un po' più rispettoso degli italiani e un po' più abrasivo su sé stessa. Perché se l'Italia non è, né è mai stata, il Paese moralmente degradato tante volte descritto in questi anni. Se il consenso al leader Berlusconi non è mai stato plebiscitario. Se i suoi fan non sono mai stati tantissimi. Se oggi 2 italiani su 3 non danno la sufficienza a Berlusconi, e appena 1 su 20 lo promuove a pieni voti. Se, a dispetto di tutto ciò, i sondaggi rivelano che il giudizio dei cittadini sull'opposizione è ancora più negativo - molto più negativo - di quello sul governo. Beh, se tutto questo è vero, allora vuol dire che i problemi politici dell'Italia non stanno solo nei comportamenti del premier e nelle insufficienze del suo governo, ma anche nella difficoltà dell'opposizione di trovare, finalmente, un'idea, un programma e un volto che convincano quella metà dell'Italia che non è berlusconiana ma, per ora, non se la sente di votare a sinistra

giovedì 10 febbraio 2011

Burqa bunga

Anch'io domenica scenderò in piazza contro chi disprezza il corpo e l'anima delle donne.
E cioè contro i vecchi bavosi che le riducono a gingilli.
Contro gli arrivisti che le utilizzano come merce di corruzione presso i potenti.
 Contro le ragazze che si vendono, spacciando la loro bramosia di denaro e di fama per libertà.
Contro i genitori disposti ad accettare l'idea umiliante che la carne della propria carne diventi strumento di carriera.
 Contro chi pensa che non esista una via di mezzo fra il burqa e il bunga bunga e invece esiste: chiamiamolo burqa bunga, oppure dignità.
Contro i pubblicitari che da trent'anni riempiono di seni & sederi le tv e i muri delle nostre città per promuovere prodotti (telefoni, gioielli, giornali di sinistra) che nulla c'entrano con la biancheria intima.
Contro le tante signore «impegnate» che hanno accettato questo insulto senza protestare.
Contro gli autori televisivi che hanno ridotto il vestito delle ballerine a un filo interdentale, imponendo al Paese un'estetica trucida e volgare.
 Contro gli autori televisivi che hanno fatto la stessa cosa, ma sostenendo che si trattava di una forma sottile di ironia, mentre di sottile c'era solo la gonna.
Contro chiunque considera il corpo delle donne un fatto pubblico, quando invece è un bene privato da esibire soltanto a chi si vuole, e nell'intimità.
Contro i giornali e i siti «seri» affollati di culi & sederi. E contro coloro che se ne lamentano, ma intanto cliccano lì.

In fondo domenica scenderò in piazza un po' anche contro me stesso.


una democrazia militare

Quasi la metà della economica nazionale è direttamente gestita dai militari.
 Rinunceranno ora a questo ruolo solo perché c'è stata una rivolta?
Riusciranno davvero a democratizzare, cioè a lasciare nelle mani di una società più aperta e più dinamica, l'Egitto?
La domanda ha percorso ieri l'intero Paese.
Ma sarà lì ancora domani e dopodomani, e dopodomani ancora.
La rivoluzione egiziana è, in questo solo, solo all'inizio.


domenica 6 febbraio 2011

Gli utili idioti

Se mettiamo insieme il fallimento delle ultime rivoluzioni fallite in Medio Oriente: dall'onda verde dell'Iran 2009 alla Tunisia di ieri, all'Egitto di oggi, emerge una lezione disincantata.
Twitter e Facebook non bastano per abbattere i tiranni.
Strumenti potenti ma ancora acerbi, sono mezzi straordinari di mobilitazione di masse.
 Non riescono però (non ancora, almeno) a sostituire la vecchia politica e i denigrati partiti che dovrebbero fare da cinghia di trasmissione tra le aspirazioni della gente e gli obiettivi politici.
 Passatismo?
No, se non ci sono i leader, se non ci sono gli obiettivi tattici e strategici, le masse riempiono le piazze ma poi cadono nella rete di regimi scaltri che hanno imparato nei decenni l'arte del compromesso per perpetuarsi.
 Regimi che sanno creare opposizioni a loro uso e consumo e sfruttare gli utili idioti.


sabato 5 febbraio 2011

L'agonia di una democrazia

Se in Italia c'è chi pensa che togliendo di mezzo secondo regole da inventare Berlusconi si fa il bucato a una democrazia in condizioni di agonia (sebbene affondata nella globalità più sbandante) come questa in cui perdiamo tutti il rispetto di noi stessi - dire che è di vista corta è misericordia.

 Gli anni di Berlusconi hanno il merito di aver fatto emergere dalla babele delle parole l'immangiabile verità di una forma democratica in sfacelo, come la casa degli Usher di Poe. Andate a leggervi quel racconto e vedrete qualcosa di simile alla democrazia italiana di questi Tristi Duemila.

 

Non si vede, dappertutto stendiamo lo sguardo,

che passività incurabile, torpore, inebetimento...

(Così bene lo previde, nel suo romanzo postumo, Guido Piovene).


La piazza egiziana ha acceso un barlume di speranza:

il suo messaggio ancora sigillato viaggerà lontano.

 Un Egitto che immagina qualcos'altro, per sé e per tutti,

è una pietra preziosa che irradia una luce insolita di fresca aurora.

mercoledì 2 febbraio 2011

Fede nella morte in Severino

Poco credibile questa idea del Nulla-Essere-Nulla, di un ente che si azzera e che si ravviva solo al comando di una Volontà, la volontà divina.
Una volontà caratterizzata per Severino da violenza e morte.
E la morte è il grimaldello utilizzato da Severino per scardinare l'architrave del peccato nella visione cristiana.
Nessuno, ipotizza Severino, accetta facilmente l'idea di una casa che poi non è casa che poi diviene casa, o di un albero non albero e poi albero. Perché, si chiede Severino, dovremmo allora accettare questa idea di un vivente che poi diventa morto.
Nella versione paolina e cristiana troviamo che il peccato è la porta d'acceso alla morte.
Il peccato di un uomo ha determinato come conseguenza la morte dell'uomo e la risurrezione solo con la Fede nella salvazione cristiana.
Severino contesta questo processo e dichiara apertamente che non è stato certo il peccato ad aprire le porte alla morte.
Severino parte dalla constatazione che la parola peccato nella versione evangelica si presenta con il termine Hamartya, il cui ricorrente significato è errore.
Il peccato, l'errore capitale, sostiene Severino è la fede nella morte.
E' nella fede nella morte che ha origine la volontà e la violenza dell'uomo.
Se la chiesa cristiana ha veramente l'intenzione di abbandonare la strada che porta alla violenza, non può non ascoltare le voci che risuonano nell'interno dell'uomo, che arrivano dal profondo e abbandonare il concetto di Dio, di Volontà divina, fino ad oggi perseguita e ridefinire una nuova entità, sicuramente priva di Violenza ma soprattutto lontana dalla Volontà, matrice di violenza e di morte.

Sonia Bonacina attrice

Sonia è un'attrice e il 15 febbraio sarà in scena al teatro Out Off.
Sonia ha 28 anni e domenica sera attacca le locandine sui muri insieme a Roberto, il suo compagno
Di fronte a loro scorre il traffico del viale, poche macchine, che sfrecciano veloci.
L'ultima è una Ford Ka, va piuttosto di corsa, si avvicina sotto i lampioni. All'improvviso le immagini sotto il cavalcavia di viale Monte Ceneri si accavallano in una sequenza accelerata: la Ka incrocia un'altra auto che gli taglia la strada da destra, la urta, sbanda fuori controllo verso sinistra, colpisce il semaforo all'incrocio, proprio dove Sonia e Roberto sono fermi ad aspettare il verde per attraversare.
Il semaforo colpisce la ragazza, Sonia muore là, all'angolo di strada, mentre Roberto l'abbraccia e poi guarda i medici che provano a rianimarla.


Sonia Bonacina attrice: lei avrebbe interpretato il personaggio di Zerbinetta.
Nessuno, ora, può dire se quello spettacolo andrà in scena.


martedì 1 febbraio 2011

Senza Volontà

Un nuovo Dio in attesa
Nessuna volontà lo scalda
 
Mai più violenza, Mai più morte
 
Introdotti saremo in una nuova era
Allontanato ogni desiderio
 
Pace eterna sarà la nostra culla