Poco credibile questa idea del Nulla-Essere-Nulla, di un ente che si azzera e che si ravviva solo al comando di una Volontà, la volontà divina.
Una volontà caratterizzata per Severino da violenza e morte.
E la morte è il grimaldello utilizzato da Severino per scardinare l'architrave del peccato nella visione cristiana.
Nessuno, ipotizza Severino, accetta facilmente l'idea di una casa che poi non è casa che poi diviene casa, o di un albero non albero e poi albero. Perché, si chiede Severino, dovremmo allora accettare questa idea di un vivente che poi diventa morto.
Nella versione paolina e cristiana troviamo che il peccato è la porta d'acceso alla morte.
Il peccato di un uomo ha determinato come conseguenza la morte dell'uomo e la risurrezione solo con la Fede nella salvazione cristiana.
Severino contesta questo processo e dichiara apertamente che non è stato certo il peccato ad aprire le porte alla morte.
Severino parte dalla constatazione che la parola peccato nella versione evangelica si presenta con il termine Hamartya, il cui ricorrente significato è errore.
Il peccato, l'errore capitale, sostiene Severino è la fede nella morte.
E' nella fede nella morte che ha origine la volontà e la violenza dell'uomo.
Se la chiesa cristiana ha veramente l'intenzione di abbandonare la strada che porta alla violenza, non può non ascoltare le voci che risuonano nell'interno dell'uomo, che arrivano dal profondo e abbandonare il concetto di Dio, di Volontà divina, fino ad oggi perseguita e ridefinire una nuova entità, sicuramente priva di Violenza ma soprattutto lontana dalla Volontà, matrice di violenza e di morte.
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