lunedì 31 gennaio 2011

Non esiste la buona azione

Per il cristiano la salvezza può solo coniugarsi con la Fede; è la Fede che garantisce la certezza di vedersi accolti tra le braccia dell'Onnipotente.
Se siamo nello stato di Grazia e abbiamo la vera Fede ogni nostra azione non è altro che la comunione della vita in Cristo e non siamo certo noi gli autori delle nostre azioni, ma siamo soltanto gli esecutori di una volontà che ci supera e ci avvolge.
E' quindi la Fede la vera forza di trasformazione, la forza dei costruttori di pace, la forza degli umili, la forza che porta al nuovo Regno.
Ogni azione terrena, ogni buona azione si sviluppa solo se c'è Fede.
 
Se invece pretendiamo di essere gli unici responsabili delle nostre azioni caritatevoli allora, nella corretta visione del cristianesimo, siamo fuori dalla Fede e le nostre azioni hanno il solo compito di stimolare ed accrescere la nostra voglia di individualità, la nostra stima, il desiderio di apparire.
Ogni nostra azione, in assenza di Grazia(leggi anche Fede),  alimenta solamente il nostro egoismo.
 
Può apparire paradossale ma nella visione cristiana la buona azione non ha alcuna possibilità di esistere senza la Fede.
 

domenica 30 gennaio 2011

Il Percorso

Salvezza, Fede, Preghiera, Unità
Unità nella trinità, unità di pensiero
 
Nessuna distorsione nella vera Volontà
Desiderio allineato nell'Amore
 
Amore realizzato nell'unico desiderio
di vita eterna, rinnovata giorno per giorno
nella comune santità.
 
Santità anticipatrice di un amore eterno
Solo santità è inizio di nuovo percorso
 
E nella ricerca continua si muovono
Unità, Preghiera, Fede, Salvezza

La prevedibile riscossa

In fondo, a ben guardare, quello che succede in Tunisia, Egitto e altrove in queste ore ha meno a che fare con l'essere «arabi» e molto più con le proteste che hanno attraversato nei mesi scorsi l'Europa del default del debito pubblico.
 Audace connessione? Forse.
Ma se così fosse, quanto ancora più preoccupante sarebbe quello che sta succedendo.

sabato 29 gennaio 2011

la semplicità dei grandi

chi è veramente grande di animo non si barda di arroganza, ma sa mettersi spontaneamente spalla a spalla con gli altri, senza però impedire che la sua ricchezza interiore venga eliminata o nascosta.
Ritroviamo, allora, quella limpidità di pensiero e di tratto che Gesù aveva illustrato nel bambino e nella sua freschezza, nella sua libertà, nello stupore con cui guarda il mondo. Giacomo Leopardi, nei suoi appunti, ci ha lasciato questo "pensiero" suggestivo che ben condensa la nostra riflessione:
 «È curioso vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore».

venerdì 28 gennaio 2011

inutili alibi

Se ogni uomo, in ogni circostanza della vita, si guardasse allo specchio con obiettività e ne traesse le conseguenze naturali, anziché sentirsi sempre un fenomeno incompreso e la vittima di qualche complotto, è evidente che il mondo cesserebbe di essere la simpatica schifezza che è.
E, finalmente perfetto, si dissolverebbe nello spazio esibendo il cartello: missione compiuta.


Il cartello elettorale

Il sistema elettorale nazionale, benché pessimo per i diritti di cittadinanza, ha mandato letteralmente in fumo il potere delle cosche di condizionare l'elezione dei parlamentari. Le liste di «nominati» su base regionale sono una vera e propria dannazione per i padrini che non sono in grado di far eleggere alcun parlamentare con il proprio voto. Il proporzionale a preferenza multipla è stato, invece, una pacchia per il clientelismo e le infiltrazioni. La modificazione del sistema elettorale nazionale, nel recupero della sovranità popolare rispetto alla scelta dei candidati, io credo, non potrà non tenere conto di tutto questo.

Così il macigno elettorale delle cosche, che sono tuttora in grado di spostare nei proprie enclave centinaia di voti, si dirige sempre di più verso le elezioni regionali e amministrative, dove le preferenze ancora pesano e sono fortemente inseguite dai candidati, come dimostrano inchieste giudiziarie anche recenti in Calabria e Campania. Un inseguimento che non è specifico di questo o quel partito, ma che viene mantenuto in piedi dalla mafia col solo ed unico criterio della propria convenienza. Un federalismo pienamente attuato necessiterà, quindi, anche di qualche accorgimento nei sistemi elettorali locali che tocca, ovviamente, alla politica individuare.

Ragione e Fede

Separate vivono Fede e Ragione
 
Ama gli eterei spazi l'una
L'altra si rifugia in domicili ristretti
 
Momenti di euforia per l'una
Solo concentrazione per l'altra
 
felicità cercano entrambe

Divenire

In Divenire la vita si manifesta
Chiunque vi partecipi è vita.
 
E il Dio vivente,
Modello di via e di vita,
non sfugge alle tiranne regole del Divenire.
 
È anch'Egli incatenato.
 
A chi volgiamo lo sguardo
Per un po' di pietà?

Fine della seconda repubblica

Come se un terremoto si fosse abbattuto sulle istituzioni repubblicane, ecco quel che si osservava ieri, alle otto della sera, di uno dei giorni più neri che la Repubblica ricordi: un panorama sudamericano.
In una sorta di resa dei conti finale, infatti, in questa guerra autodistruttrice di tutti contro tutti, non una istituzione - e non un uomo che la rappresenti - ha mantenuto intatto il prestigio e il decoro che dovrebbero legittimarla.
Il crollo generale del senso di responsabilità è evidente. Qualunque forma di rispetto verso le istituzioni e i loro rappresentanti è ormai venuta meno. E l'esempio - il messaggio - che dai palazzi romani raggiunge i cittadini e il Paese, è devastante. 
 E' un crepuscolo terribile, quello che accompagna l'ormai inevitabile fine della legislatura.
 Forse perfino più terribile di quello che accompagnò il crollo di Bettino Craxi, di Arnaldo Forlani e della mai rimpianta Prima Repubblica...


La calda accoglienza

Marysthelle, risulta dalle intercettazioni, ottiene direttamente dalla presidenza del Consiglio il numero diretto del prefetto di Milano Lombardi per ottenere passaporto e cittadinanza italiana.
Il prefetto si mostra molto disponibile, e il 18 gennaio la fa entrare in auto perfino nel cortile della Prefettura, le dice anche «mi saluti pure il presidente».
Proprio quello che succede a tutti gli extracomunitari che hanno amici tra gli spacciatori

giovedì 27 gennaio 2011

Ritrovarsi?

 Alcuni uomini hanno bisogno di un pubblico per funzionare.
Se non lo trovano, lo acquistano: tra feste, mollezze e tentativi di fermare il tempo,
 con artifici che il tempo ci ha insegnato a conoscere.
 Famiglie, interessi e successi professionali non bastano più.
Occorrono adulatori, ammiratrici, cantanti e una scenografia insieme spettacolare e malinconica,
soprattutto perché studiata per sconfiggere la malinconia.
Ritrovarsi?  forse è tardi.

Sempre Nuove Domande

E non cessiamo di interrogarci
ancora e ancora,
finché una manciata di terra
ci chiude la bocca-
Ma questa è una risposta?(Heine)
 
Là potremo, allora, avere le parole definitive di Dio in modo diretto, perché lo vedremo faccia a faccia, noi parleremo con lui e lui con noi ed egli ci dirà: «Interrogami pure e io risponderò, oppure domanderò io e tu ribatterai» (Giobbe 13,22).
 
 
Spesso diciamo che Dio non risponde alle nostre domande;
in realtà siamo noi che non ascoltiamo le sue risposte.(Clive Staples Lewis).

mercoledì 26 gennaio 2011

il quadro e la cornice

Ci sono purtroppo nella società contemporanea molte realtà infiocchettate, avvolte in contenitori pregiati il cui prezzo è alto, ma il valore molto basso. Ci sono persone il cui apparire è strepitoso, ma la cui sostanza umana e spirituale è pressoché nulla. Impeccabili nel vestire, seducenti nel parlare, talora "scolpiti" da qualche chirurgo plastico per togliersi di dosso la patina del tempo, si sono trasformati quasi esclusivamente in cornice, in addobbo, in apparenza. Gusci dorati, vuoti all'interno; abiti eleganti, sorretti solo da manichini

martedì 25 gennaio 2011

un mondo maschilista

Forse val la pena ricordare alcuni dati resi noti pochi giorni fa dall'Istat e passati quasi sotto silenzio: in Italia una donna su due non lavora e non cerca lavoro. Donne semplicemente «inattive». Si tratta di un tasso di inattività che supera quello di tutti gli altri 26 Paesi europei (con l'esclusione di Malta, se questo può consolare). Specularmente, le donne «attive» sono il 46,3%, un dato che fa vergognare di fronte al 66,2% della Germania, al 60% della Francia, per non parlare del 71,5% dei Paesi Bassi. Perché le donne in Italia non si mettono nemmeno alla prova? Preferiscono veramente altre strade di realizzazione personale (maternità e famiglia, per esempio) o rinunciano a priori perché consapevoli di un Paese in cui i loro sforzi e i loro sacrifici non verranno riconosciuti e non incontreranno gratificazioni né nel settore pubblico né in quello privato?

L'ultimo rapporto del World Economic Forum sulla parità di genere nel mondo del lavoro e delle imprese ci pone al 74° posto, dopo Malawi, Ghana e Tanzania, per fare alcuni esempi. A far scendere il nostro Paese nella classifica è soprattutto la scarsa performance sul fronte delle opportunità di lavoro e di carriera. Una difficoltà legata, secondo i risultati dell'indagine, ad una carenza di servizi di supporto (come gli asili), ma anche alla mancanza di modelli femminili di riferimento e ad un clima generale molto maschilista

lunedì 24 gennaio 2011

Il marziano e il minimizzatore

  • Sceso sul Pianeta Italia, un Marziano incontra un Minimizzatore. Ce ne sono di due tipi, gli avevano spiegato nel corso di preparazione Strip (Stranezze terrestri reperibili in Italia particolarmente): i minimizzatori volontari e i minimizzatori forzati. I primi sono più interessanti. Non difendono vita e opere recenti del Presidente B. per dovere di partito o obbligo aziendale. A muoverli è altro. Il Marziano, affascinato, vuole sapere cos'è.

  • Minimizzatore: Guardi, non è successo niente.
    Marziano: Dove, scusi?
    Min: Ad Arcore, a Palazzo Grazioli, a Villa Certosa, a Palazzo Chigi. Niente.
    Mar: Per questo l'Italia pare bloccata da anni, mentre il mondo va avanti?
    Min: Non faccia il marziano comunista. Intendo dire: non è successo niente di improprio.
    Mar: Scusi, li ha letti i racconti delle ragazze? Siamo arrossiti anche sul pianeta rosso.
    Min: Quelle intercettazioni sono un abuso!
    Mar: Mettiamo anche. Ma adesso lei, quelle cose, le sa.
    Min: È come se non le sapessi. Non posso accettare che la privacy venga violata in questo modo.
    Mar: Guardi che un'indagine della magistratura non è una violazione della privacy.
    Min: Allora è una trappola, un agguato, un complotto, una persecuzione, un golpe.
    Mar: Quindi il Presidente B. non ha colpe?
    Min: Non è un santo, d'accordo. Colpe? L'imprudenza: doveva stare più attento.
    Mar: Ma in questo modo lei non solo giustifica i baccanali, ma invita a nasconderli.
    Min: Baccanali, baccanali... Sono feste. In casa propria uno fa quello che vuole, no?
    Mar: A me sembrano cose da basso impero.
    Min: Che colpe ne ha lui se non è alto? Comunque: lavora molto e deve rilassarsi, lo ha spiegato.
    Mar: Rilassarsi? Pensavo che voi terrestri, a quell'età, prendeste le tisane.
    Min: Sa una cosa? Lei è fondamentalmente un fondamentalista. Ha visto come i colonnelli del Pdl lo hanno appoggiato? Con che passione, vigore, lealtà? E il ministro Maroni? Guardi, ho qui l'sms di Tim Spot: «Basta tette e culi. Ora i problemi del Paese».
    Mar: Be', era ora che qualcuno glielo dicesse, al Capo.
    Min: Vede? Come si può ragionare? Lo capisce che senza Berlusconi è il caos?
    Mar: Be', anche adesso non si scherza.
    Min: Basta, con lei non parlo più.
    Mar: Che mestiere fa, signor Minimizzatore? Dove vive? È cattolico?
    Min: Sono un libero professionista. Lombardo. Cattolico. E conservatore.
    Mar: Mi faccia capire: un professionista lombardo, cattolico e conservatore, difende quello stile di vita? Ma se fino all'altro ieri, appena sentivate parlare di sesso extraconiugale, gridavate come ossessi! Si sentivano le urla nell'iperspazio.
    Min: Le donne del proprio corpo fanno ciò che credono. E gli uomini si sa: tutti cacciatori. Segretamente, molti italiani vorrebbero essere come il Presidente B. Ecco cosa sono i suoi accusatori: invidiosi.
    Mar: Ma B. ha sempre detto di essere per i valori della famiglia. Perfino su Marte abbiamo sentito parlare del Family Day. Non capivamo perché, per difendere la famiglia italiana, parlaste in inglese. Sapevamo però che il Popolo della Libertà era alla testa del movimento.
    Mer: La coerenza non è l'unico metro di giudizio. Guardiamo le dichiarazioni, invece. Bisogna credere alle persone: presunzione di innocenza, il marchio del vero liberale. Ha sentito ieri Emilio Fede? «Alle cene mai visto niente di trasgressivo».
    Mar: Pure bendati?
    Min: Vede che lei è un marziano comunista? Comunista e malizioso. Le ragazze venivano aiutate perché il Presidente è generoso.
    Mar: Ce ne fosse una brutta, però.
    Min: Le andrà a prendere su Venere. Ah ah. Piaciuta la battuta, caro extraterrestre?
    Mar: Mi perdoni: alcune erano giovanissime. Una addirittura minorenne.
    Min: Chi, Ruby? Ma l'ha vista? Le sembra una bambina? Sa cosa dicono in Brasile? Quando c'è il peso...
    Man: Cosa sta dicendo? Ma che esempio date ai ragazzi? A lei piacerebbe che sua figlia frequentasse persone quattro volte più anziane di lei, e ricevesse in cambio dei soldi?
    Min: Cosa c'entra mia figlia? Comunque anche lei frequenta persone anziane e la pagano. È architetto.
    Mar: Immagino mostri i progetti e non le mutande.
    Min: Lei non è un marziano, è un marxiano. Voi rossi pensate che le donne in gamba debbano essere brutte. Invece possono essere belle, sexy e intelligenti. Guardate le donne al governo! Credete siano lì solo perché sono avvenenti? Ha sentito come hanno difeso il loro Presidente? Ognuna nel suo avamposto televisivo, a lottare contro gli infedeli!
    Mar: Un'ultima cosa, signor Minimizzatore. Voi di destra avete sempre professato obbedienza e rispetto per la Chiesa, e adesso difendete il bunga bunga. A quelli di sinistra è sempre importato poco di preti e vescovi, e adesso sono lì che aspettano frementi l'opinione del Consiglio episcopale. Certo che siete strani, in Italia.
    Min: L'ha capito adesso?

    La commedia umana nel palcoscenico di Arcore

    Lo schema a trama circolare è previsto e infatti il giorno in cui il Cavalier Silvio Berlusconi, inaugurando un centro commerciale e la sua carriera politica a Casalecchio di Reno, accordò la preferenza a Gianfranco Fini su Francesco Rutelli nella corsa al Campidoglio, Karima El Mahroug, al secolo Ruby Rubacuori, aveva ventidue giorni di vita (un gioco di flashback sosterrebbe efficacemente le tesi dei detrattori). Una passione lolitesca ma, in questo falò delle vanità, bruciano tutte quelle a disposizione nella commedia umana. Guardate per esempio i ruffiani, o concorrenti esterni in meretricio (la presunzione d'innocenza è qui presupposta per tutti).

    Ferventi prosseneti
    Lele Mora, omosessuale, pressoché maitresse, procura le femmine e le istruisce, consiglia un abitino da infermiera e uno stetoscopio per l'ironico preambolo: anche le trascrizioni sono gravide di entusiasmo (e contrappeso all'imbarazzata eclissi di oggi). Di altra pelle è Nicole Minetti, anche lei ricopriva il ruolo di reclutatrice e di trainer, nelle baldorie di Arcore dava il via alle danze; tiene ancora la testa alta, reclama innocenza e, ai reporter voraci, un po' di rispetto.

    Piuttosto, che figura letteraria è quella di Roberto Formigoni, accusato dai radicali di aver falsificato le firme per mettere la pupa del capo nel listino bloccato? Il listino permette al governatore di trascinarsi in Consiglio regionale i collaboratori fidati. Va bene le firme, ma la domanda vera concerne le competenze minettiane: a quali Formigoni non si sente di rinunciare?

    Splendori e miserie
    Le ragazze uscendo dalla procura si proteggono con occhiali scuri, sciarpe, veli. Le ragazze, tampinate dal cronista di inflessibilità compiaciuta, fuggono a testa bassa e a colpi di tacco sul selciato, come Enrico Cuccia con quelli di Striscia. Le ragazze scendono dal Suv e contrattaccano, muso alla telecamera e scariche di oscenità. Le ragazze vanno in tv a dire che il vecchio sporcaccione in realtà è come Gandhi (nelleintercettazioni, per Ruby è Gesù).

    Le ragazze vanno nel salotto di Alfonso Signorini, che è stato definito il contraltare melodrammatico dei tribunali popolari alla Santoro, dove il rancore è il sentimento dominante e c'è Daniela Santanché che barcolla se le ricordano un suo lontano epitaffio: Berlusconi noi donne ci vuole orizzontali. Sabina Began dice: il bunga bunga sono io.

    Il catalogo delle madamine non trascura alcun prototipo. Ci si deve immaginare le donne del Pd toscano in piazza, le donne del Pd ligure in piazza, le donne del Pd davanti a Montecitorio, le donne dell'Idv ovunque. I protagonisti migliori ricompaiono, in prestito da romanzi precedenti. Il fratello di un'amica di Noemi dice: «Non ci siamo fatti corrompere». Patrizia D'Addario dice: «Tante di quelle ragazze erano con me a Palazzo Grazioli». Nadia Macrì esplode di vita nel raccontare ad Annozero come si noleggiò.

    Sedotte e sfrattate
    Sui cartelli stradali, l'umorista ha camuffato da "r" la "l" e la dimora Olgettina è diventata la dimora Orgettina. Ci abitano quattrodici ragazze delle feste di Villa San Martino. Sono state sfrattate perché gli altri inquilini intendono preservare il decoro dello stabile. A partire da giovedì, otto giorni di tempo per sgombrare. Gli zelanti direttori delle cancellerie hanno sottoscritto lo sfratto nello loro stanze buie. Otto giorni non si danno nemmeno agli occupatori di case. Marysthelle Garcia Polanco ha una bambina e non sa dove andare. C'è una differenza soltanto fra realtà e finzione: la realtà prevede più spesso che l'intransigenza sfumi in proroga.

    Buoni, brutti e cattivi
    Sollecitati, hanno espresso sconcerto l'Avvenire, Famiglia cristiana, l'università dei focolarini, i frati di Assisi, l'Azione cattolica, i cattolici del Pd. Il parroco di Antrosano, frazione di Avezzano, ha affisso manifesti a lutto per la morte della morale. Un sondaggio attribuisce al Partito du Pilu, di Cetto La Qualunque, subito il 2.3 per cento dei consensi, se si presentasse alla elezioni. In prospettiva, il target sarebbe del nove per cento. Piero Ostellino rivendica il diritto delle donne di vendere il loro corpo («è un principio liberale, non un invito a darla»).

    Natalia Aspesi e Marco Travaglio rivendicano il diritto di preferire quelle che si concedono secondo presupposti etici. L'altra domanda è: c'è un diritto a svergognare le prostitute? In questo su e giù, il miglior ruolo in commedia spetta ai padri, ai fratelli - ai congiunti vari delle congressiste carnali - che incitano figlie e sorelle a conquistare spazi nelle disponibilità affettive ed economiche del premier, a darci dentro, a non farsi scavalcare e, sola lacuna in una trama che procede secondo il capriccio del grande scrittore d'appendice, mancano le cere delle madri e dei padri che non sapevano nulla.

    E' stato il maggiordomo
    E poi, il colpo di scena. Lele Mora ed Emilio Fede si mettono d'accordo per spillare denari a Berlusconi. L'intercettazione telefonica fa capire che Fede otterrà un milione e due per Mora, che Mora già progetta di non restituirli, e che Fede ne tratterrà 400 mila per onorario. L'abile mossa si accompagna esteticamente ai balletti verdi con berretto e manette della polizia. Qui ci sono i frontalieri di Luino, le belle di Lodi.

    Berlusconi beve Sanbitter, vintage anni Ottanta. C'è odore di tinello e Vermouth. Madoff di periferia tessono trame col dottor Vermilione: un po' Billionaire un po' Drive In. Nella pensione Vauquer si spettegola ancora. E la neolingua arcoriana, di cui si è parlato, non è una neolingua. Forse nemmeno slang: amo o amo'.

    Tutto sommato, considerato il contesto, turpiloquio contenuto. Più del neologismo c'è la sana tradizione fantozziana: «Non sii timida», dice la Minetti all'amica. A completamento, non sbaglia un congiuntivo Giuseppe Spinelli, non dà del tu a nessuno, non fa domande, non fa la cresta, non si allenta la cravatta, paga quel che c'è da pagare.

    Il buon partito
    Sono fidanzato, ha detto Berlusconi. Alle cene sedeva anche la mia fidanzata, ha aggiunto. Figurarsi se declinavano all'orgia. L'identità della fidanzata è ignota. Si indaga fra veline, coloradine, vitamine, naufraghine e schedine. Sarà autentico finale quando le meteorine cederanno le notti ai lunghi coltelli.

    la verità

    «La verità - ha aggiunto scherzando Mora - è che la fidanzata di Berlusconi è Alfonso Signorini».

    domenica 23 gennaio 2011

    il caimano assediato

    I berlusconiani e i beneficiari del suo sistema di governo non si sentono ancora tanto forti da fare a meno di lui. Soprattutto perché ora lo tengono in pugno. Alzeranno il prezzo del loro sostegno.

    Un fatto è certo: il governo berlusconiano sopravviverà intensificando la contrattazione con due suoi punti di appoggio indispensabili. Uno interno, la Lega; l'altro esterno, la Chiesa. In un momento in cui il mondo cattolico è turbato e scandalizzato come non mai, in un momento in cui ha la chance di tradurre in politica la sua tanto decantata centralità nella «società civile», la gerarchia ecclesiastica avrà un ruolo oggettivamente ambiguo. Certo, nei prossimi giorni la sua voce si alzerà alta e forte, ma sarà rigorosamente impolitica.

    Il paradosso è che la Chiesa si vanterà di svolgere il suo magistero morale senza interferire nella politica. Ma è una finzione.

    Come se le fortissime pressioni esercitate in questi anni sulla legislazione a proposito delle questioni bioetiche o sulla scuola cattolica non fossero politiche. In realtà presso alcuni influenti esponenti della gerarchia c'è la reticente volontà di mantenere in vita il governo «più compiacente verso la Chiesa», a costo di abbandonare alla frustrazione e all'impotenza quella rilevante parte del mondo cattolico che vorrebbe valorizzare in termini politici efficaci il soprassalto morale e civile di questi giorni. Invece il tutto si tradurrà in qualche nuovo favorevole patteggiamento del governo

    Al Nord una Lega nervosa e ricattatrice patteggia, a suon di concessioni fiscali e cedimenti simbolici con un governo debolissimo, per decidere quanta e quale nazione siamo ancora e saremo.

    Bossi, che sta giocando la carta più difficile della sua carriera, gli ha detto in faccia di «riposarsi». Ci penserà lui a sistemare le cose, ormai da leader virtualmente nazionale: se il suo progetto federalista vuol avere un futuro, deve fare i conti non solo con il Terzo Polo ma con la stessa sinistra.

    Rimane l'enigma Tremonti

    Chiesa permettendo, naturalmente


     

     

    Una nuova speranza

    Il Paese sembra sprofondare nell'abisso della degenerazione del potere.

    La Seconda Repubblica è nata sull'antipolitica (che è cosa ben diversa dalla sacrosanta critica del potere e dei partiti corrotti); ha distrutto partiti, sindacati, senza riformarli né rivoluzionarli; ha portato alla degenerazione di gran parte del senso comune, ha corrotto costumi individuali e di massa.

    Paolo Flores D'Arcais scriveva ieri: «Continuare a discutere se Berlusconi possa ancora governare è privo di senso. L'Italia è grazie alla disinformazione mediatica completamente immersa nella sindrome.

    Sarei preoccupato se in questi giorni non prendesse corpo, contro questo potere dominante repressivo e immorale (che non è una patologia, ma una fisiologia sovversiva) un processo di rigenerazione che abbia come punto di riferimento la Costituzione, la difesa dello stato sociale e dell'autonomia dei poteri costituzionali. E' impressionante che, di fronte allo "scandalo" (nella versione evangelica), non ci siano sussulti nella maggioranza.

    Quando Berlusconi, ieri, nel solito videomessaggio, ripetendo grottescamente la storia della nipote di Mubarak, ha gridato, con occhi feroci, «Bisogna punire quei giudici», ha dato il segno del passaggio definitivo dalla democrazia alla satrapia; ha pronunciato parole indicibili degne di un despotismo autoritario. Ora siamo ad un bivio: o Berlusconi verrà spazzato via o sarà lui a spazzare via il simulacro di Parlamento che ci resta, il controllo giurisdizionale, insediandosi nel futuro al Quirinale.

    Possiamo prendere esempio dalla dignità e dalla cultura del popolo tunisino che ha organizzato i comitati popolari pretendendo «Se ne vada Ben Ali, se ne vadano tutti i predoni?».

    se riusciremo a costruire un processo di assunzione di responsabilità civile e democratica potrà anche improvvisamente cambiare il terreno.

    La speranza della rinascita democratica non è, allora, altra cosa rispetto al conflitto sociale; viene da lì, dalla splendida e intelligente difesa della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, degli studenti, dei ricercatori, dei precari, degli occupanti di case. Questa volta, sul serio, nessuno si salverà da solo

    mercoledì 19 gennaio 2011

    Le speranze della vecchiaia

    Non contano la rete di rughe e la patina del tempo trascorso quando si porta dentro di sé la freschezza degli ideali coltivati in gioventù. L'energia dello spirito può pulsare anche in membra infiacchite; anzi, ci sono molti fiori che emanano un profumo più intenso verso sera, quando il giorno cala verso il tramonto. Il poeta americano Walt Whitman, nel suo capolavoro Foglie d'erba, scriveva:

    «Gioventù grande, gagliarda, innamorata,

    piena di grazia, forza e fascino, 

     non sai che la vecchiaia può venire dopo di te

    con eguale grazia, forza e fascino?».

     La vecchiaia è triste non perché cessano le gioie, ma perché finiscono le speranze.

    la terza via della sessualità

    Una gestione sana del piacere sessuale comporta che la presa di coscienza di un corpo sessuato si accompagni alla volontà di incontrare l'altro nella differenza e nel rispetto dell'alterità: si tratta di integrare la sessualità nella persona, attraverso l'unità interiore della persona nel suo essere corpo e spirito. Certo, richiede una padronanza di sé, ma questa è pedagogia alla vera libertà umana: o l'essere umano domina le proprie passioni oppure si lascia da esse alienare e ne diventa schiavo. Il lussurioso riceve come salario del proprio vizio una tristezza e una solitudine più pesanti, alle quali pensa di riparare entrando nella spirale lussuriosa per nuove esperienze, nuovi incontri, nuovi piaceri: sì, una spirale «dia-bolica» che separa sempre di più piacere da relazione e fecondità. Per questo la disciplina interiore, anche nello spazio della sessualità, è sempre opera di libertà e, quindi, di ordine e di bellezza: è uno sforzo di umanizzazione capace di trasformare anche l'esercizio della sessualità in un'opera d'arte, in un capolavoro che corona una storia d'amore.

    Sul punto evidenziato è forse necessaria una attenzione più laica.
     
    La presenza di una terza via è forse trascurata.
     
    Come modalità di costruzione e di mantenimento di una stabile relazione, la sessualità richiede anche una continuità di azione con l'Altro. Con l'Altro si sta assieme, si discute di vita e di alienazione, di progetti e di speranze, e il corpo diventa anche forma espressiva intensa come il dialogare, in cui l'altro è visto come soggetto. C'è una interazione sessuale non legata alla riproduzione che permette alla vita di esprimersi nella pienezza. Ma c'è una condizione perché non ci sia sconfinamento nella lussuria. Non c'è una ricerca ossessiva di nuovi partner. C'è un partner stabile a cui si dà lealtà e disponibilità. Ieri e oggi e domani( se possibile).

    martedì 18 gennaio 2011

    le nuove alchimie della democrazia

    Nei corridoi, i camaleonti dell'ora ringraziano con leggerezza blasée, loro che non si sono mai mossi da Palazzo, «la gioventù generosa che si è battuta per la democrazia.

    Peccato che in mezzo ci siano stati venti anni, e più, di assolutismo. Nel palazzo, marmo dappertutto e lapislazzuli e tappeti interminabili, mentre il premier parla, in salottini in penombra uomini obesi, pascià in doppiopetto, dosano a bassa voce le nuove alchimie della democrazia .

    Tutto nei saloni è in ordine, i soldati presidiano con bello stile le garitte. Aspettano il nuovo padrone.

    domenica 16 gennaio 2011

    Un tempo affascinante

    A Tunisi è l'ora dei gattopardi, di quelli che mentre tutto sta mutando vogliono, sottilmente, tutto restaurare, far sì che lo scandalo mirifico di un popolo arabo, il primo, che ha costretto il tiranno a fuggire rientri nell'ordine antico, il «benalismo» senza Ben Ali. C'è sempre un passato regime, un passato governo, una passata amministrazione cui attribuire omissioni e nefandezze, dopo aver indotto il tiranno a decollare confidano di poterne uscire senza ammaccature e col potere intatto.

    Lavorano in fretta, sanno di non avere molto tempo; adesso che la fantasia di questo povero popolo scorticato si è sfogata sarà difficile farla ritornare indietro. È una corsa che si gioca in 24, 48 ore forse. I gattopardi del ventennio tunisino, i ras, i notabili, gli uomini di affari, la borghesia grossa dei sazi contro la grande onda che si è alzata dalla strada. È un tempo affascinante e sospeso: la storia della Tunisia nuova che c'è, che vibra, scorre davanti a noi come il fiume di Eraclito. Ma è tempo tortuoso e di tortuose e ambigue reversibilità, ricatti e riscatti.

    Ma quelli che ancora comandano e sceglieranno l'avvenire appartengono a prima del diluvio.

    Come i partiti di opposizione che dovrebbero entrare nel governo di transizione e organizzare entro 60 giorni elezioni libere: erano, loro, a libro paga del regime, ingrassati con stipendi seggi e carriere.

    Ma non ce ne sono altri, i veri oppositori escono, stravolti, intontiti, da esilio e galera, non hanno sedi, mezzi, sono facce sconosciute.

    Due immagini, semplici, con l'avvertenza che questa è una realtà dove ancora «buoni» e «cattivi» si mescolano e si confondono.


    La prima. I ritratti di Ben Ali, la mano sul cuore, il sorriso da seduttore arrogante, giganteggiano ancora ovunque nelle strade della capitale, presidiati dai carri armati dello stato di emergenza. Stramberia? Dimenticanza? No, è la prova che nulla è deciso, che nessuno lo ha abolito anche se ormai c'è un nuovo presidente.

    Fin che i ritratti saranno lì, il benalismo non sarà cancellato.


    Il Potere nel Maghreb è soprattutto una faccia. Per abolirlo non bastano i documenti, bisogna umiliarlo iconologicamente, a fucilate, lordandolo di pietre, di vernice, bisogna scalpellarlo o almeno scialbarlo nei trivi, nelle bettole, nelle aule. Come si è fatto per Mussolini e Ceausescu, Siad Barre e Papa Doc. Questa rivoluzione ha dei martiri, ma non ha ancora una immagine simbolo, che sia il centro, il luogo geometrico della sua esistenza, che ne dica la storia.

    Per questo la gente attende ancora prima di schierarsi. Perché ha una memoria per così dire proustiana del recente passato. Ha visto in televisione il primo ministro, Ghannoiui, venti anni a fianco di Ben Ali, maggiordomo obbediente, e al suo fianco un'altra faccia nota, Kallel, ex ministro degli Interni, le braccia ancora intinte fino al gomito nella repressione. Annunciavano, loro, imperturbabili, elezioni, e la partenza definitiva di Ben Ali.

    Allora i ragazzi dell'Intifada tunisina si sono chiesti: è questo il cambiamento? Ci siamo azzuffati per nulla e contro il nulla?
    La seconda immagine, è la copertina di un giornale, specchio, sintesi, fusione, per cosi dire, raffinazione dell'ottimismo e della speranza, saggia, non impertinente e sprovveduta. È Le quotidien uno dei pochi ieri in edicola; titolo La volontà del popolo trionfa, e via di seguito senza respiro per nove pagine di prove dell'era nuova e della brutalità poliziesca.

    Se dici al redattore capo Kamel Zaiem «complimenti avete coraggio», ti risponde: «No, per essere davvero coraggiosi quel giornale avremmo dovuto pubblicarlo il giorno prima, quando nulla era ancora cambiato». I gattopardi stiano attenti al ribollire della lava. Il privilegio di una rivoluzione è di non permettere a nessuno di decidere che è finita.

    La libertà indispensabile

    Non ne parla volentieri, da tempo ha lasciato tutto per vivere di mare e di patrie improvvisate.

    «Ho vissuto nelle acque di Grado, poi mi sono spostato ai Caraibi – racconta – poi Rodi e san Vito lo Capo. Gente diversa, barche diverse.

    E oggi sono fermamente convinto che per essere liberi si debba vivere dell'indispensabile».

    sabato 15 gennaio 2011

    le radici dell'illegalità

    Le radici dell'illegalità risiedono soprattutto nella mancanza di una morale secondo verità. È la moralità infatti che responsabilizza e impegna a rispettare la legge, in quanto fa sorgere nella persona una forza interiore che la spinge a osservare le norme.

    venerdì 14 gennaio 2011

    nonostante la repressione

    Il coprifuoco non aveva spacciato la rivolta, gli stavano i giovani scalmanati rubando la capitale strada per strada, quartiere per quartiere, nonostante la repressione e i morti. E allora ieri sera, ore venti, è apparso in tv. I tunisini non lo avevano mai visto così, loro abituati da vent'anni al suo sorriso grifagno, alle sue mirabolanti promesse: gli occhi di un uomo in trappola che cerca febbrilmente una via di uscita, che annuncia che nel 2014 alla fine del mandato non si ripresenterà «perché sarà troppo vecchio», che, umile, predica la pace e annuncia che abbasserà i prezzi di latte e pane, che concederà la libertà di stampa e di accesso a Internet e punirà chi ha sparato sulla gente, chi l'ha «mal consigliato» in queste quattro settimane di rivoluzione. «Vi ho capito», ha concluso.

    Il suo faccione si era appena spento sugli schermi e il centro di Tunisi è entrato in fregola. C'è il sospetto che fosse soltanto il suo popolo a celebrarlo, una manifestazione «spontanea» di regime per dimostrare che c'è una Tunisia che adora il suo presidente.

    E gli altri, quelli che ancora ieri si sono battuti nelle strade, dove hanno lasciato altri morti? Per ora tacciono.

    Non accetteranno una vittoria rinviata, non transigeranno. Sanno che tre anni sono lunghi, che il presidente ha in serbo altri colpi bassi.

    Per ora la realtà resta comunque quella della repressione. Il «lavoro» in strada perfezionato da una sbirraglia borbonica, senza segni distintivi se non il randello esibito al momento giusto, ciurma di nerboruti che scendono da autobus normali come se fossero pendolari e si confondono, in attesa di passare a salutari tecniche coattive, tra la folla, osservando, ascoltando, spiando. Sicché non sai se quello che ti sta davanti è davvero un passante o un poliziotto votato e consacrato ai castighi.

    Picchiano duro, con metodo, sparano e uccidono.

    Questa rivolta per ora assomiglia a una rivoluzione come la pornografia all'erotismo.

    Saccheggia certo, non alla cieca però. I magazzini e le ville della gente del Potere, come ad Hammamet, o i supermercati di un fratello di Leila, la moglie di Ben Ali, considerata capofila della cleptocrazia governativa.

    Un risultato l'ha già raggiunto, enorme: ha costretto il potere a essere esibito e crudele, quando finora la sua vera forza, la sua quintessenza consisteva nel tenersi nascosto e temperato, seppure corrotto e duraturo.

    Nella Tunisi della rivolta bisogna tener d'occhio i bar per sapere quando la battaglia, il subbuglio stanno per cominciare.
    Dall'interno del bar, due finte bionde cinematografiche capaci di volgere gli occhi maschili e polizieschi nella loro direzione come fiori verso il sole, ringhiano biasimi, si avvelenano in deprecazioni. Giudicano la polizia moscia: «Picchiateli questi bastardi, che aspettate, sono la vergogna della Tunisia».


    È la gioventù dorata, i termidoriani di Ben Ali. C'erano anche loro ieri sera con le auto di lusso a sfilare in Avenue Bourghiba.

    giovedì 13 gennaio 2011

    il suicidio di un ragazzo stanco

    Ieri è stato un giorno chiave nella lenta agonia di questo strano regime maghrebino di Ben Ali, illuminata e ottusa, consumistica e miseranda, adorata dagli occidentali, turisti e politici, e odiata dai suoi ragazzi che si uccidono per dire basta alla vita. Per venti anni il Presidente ha tripudiato con il novantanove per cento;e poi è bastato il suicidio di un ragazzo stanco di essere povero per far crollare tutta la facciata

    Avenue Bourguiba non è solo un luogo e un nome. È la faccia del modello Ben Ali, il suo biglietto da visita con le sue tinte pallide color gelato e gli alberi che sprizzano verde e vita. Sono gli Champs Élysées della Tunisia modernista, avida di consumi, sazia e soddisfatta.

    Ogni volta che qualcuno protestava, timidamente per carità, per la polizia manesca, le elezioni in cui il Presidente sceglieva letteralmente come per un ruolo in commedia comparse, spalle e coro e lustrare meglio i suoi trionfi, ecco c'era la cartolina di avenue Bourguiba: con le mercanzie, i lussi, l'aria di ricchezza mondializzata. È Maghreb questo? Cosa volete di più? Guardate altrove! È lì che ha fatto sistemare la sua piramide, un albero di Natale illuminato che celebra il quattro novembre, data in cui ha preso il potere. Questi ragazzi che vogliono farlo cadere dal piedistallo non erano neanche nati allora.

    Ieri i tempi nuovi sono arrivati a un passo da qui. Con una folla di ragazzi, adolescenti incappucciati con la voglia di scassinare la serratura di quella città ricca e di saccheggiarla per lasciare il segno della loro rabbia e della loro determinazione.

    Non c'è l'ideologia, mancano i leader che il regime ha sapientemente annientato nel corso degli anni.

    ma c'è la voglia di osare. Inebriante. Più forte dei manganelli, dei lacrimogeni. Delle fucilate.

    Sono i loro padri che hanno votato Ben Ali per anni, per paura, per rassegnazione, sperando in meglio.

    Loro no, votano ora con la rabbia e le pietre. Non possono avere tutto quel bendidio? Bene, lo distruggeranno.

    Li hanno sentiti arrivare i buoni borghesi di Ben Ali.Anche qui nel corso degli anni con il denaro che colava si è formato uno strato grasso di una nuova borghesia

    Al mattino chi era passato di lì raccontava, i resti di quella baldoria sovversiva intatti, i copertoni incendiati per fare barricate, le auto e i bus bruciati.

    All'alba però hanno visto i soldati prendere posizione nelle strade, intorno alla tv e all'ambasciata francese. E questa è stata l'altra grande novità.

    Perché il generale si era rifiutato di ordinare ai soldati di sparare sulla folla.

    Poi l'ordito multicolore dei battaglioni dell'intifada è comparso a place de la Porte de France. Sono venuti a dare un'occhiata alla guerra che faranno nei prossimi giorni, a quello che resta ancora da conquistare.

    Ben Ali è assediato dal silenzio, i ribelli gli hanno rubato i rumori della capitale.

    domenica 9 gennaio 2011

    Information Deprivation Disorder: astinenza tecnologica

    E c'è chi, addirittura, ipotizza che la fidelizzazione ai social network face book.twitter-LinkedIn, possa persino
    diventare un problema. Un gruppo di ricercatori dell'università del Maryland ha infatti condotto una sperimentazione in 12
    università di tutto il mondo chiedendo ad un gruppo di giovani volontari di restare
    per 24 ore senza i dispositivi elettronici, e quindi tagliati fuori dalla Rete
    . Il risultato
    è che un giovane senza Facebook, Twitter, l'email, il cellulare e Internet è come un fumatore che sta cercando di smettere di fumare
    o qualcuno che ha appena iniziato una dieta. Gli effetti sono ansia, preoccupazione,
    senso di isolamento e irrequietezza, ovvero i sintomi dell'astinenza. Una
    condizione che oggi ha un nome: Information Deprivation Disorder. Ai volontari era
    consentito di usare solo il telefono fisso, in determinate fasce orarie e leggere libri (di
    carta). Dai diari che gli studiosi hanno chiesto ai ragazzi di tenere sono emersi
    sentimenti di ansia e preoccupazione e a causare il peggior stato di insofferenza è
    stata la mancanza della musica. «Molti di loro hanno detto di trovare il silenzio piuttosto
    scomodo e imbarazzante
    ma alcuni di loro si sono adattati e si sono abituati cominciando a
    notare i suoni intorno, come il canto degli - uccelli o i rumori dei vicini di casa
    ». In
    ognuno dei resoconti è tornata, e ricorrente, la parola "dipendenza" e molti dei ragazzi hanno dichiarato
    che i loro erano veri e propri sintomi di astinenza. Insomma: internet è un
    po' croce e un po' delizia, ma, da qualsiasi parte la si vede, è lì che passa quello che
    Hegel chiamava "lo spirito del mondo a cavallo".

    sabato 8 gennaio 2011

    Il paese della paura

    Isaac Rosa, giornalista del quotidiano spagnolo Público, ha pubblicato un libro che sembra spiegare bene di cosa si tratti: paura. Il paese della paura è un romanzo che conferma che «la paura è il risultato di un disegno perverso del potere per provocare dipendenza e bisogno di protezione».
    È un romanzo che conferma che siamo stati addestrati ad avere paura di una valanga di cose per poter essere più facilmente sottomessi e controllati.
    Dovremmo essere coscienti, come insegnava il professor Lars Svendsen nel suo Filosofia della paura, che:
    La paura è uno dei fattori di potere più importanti che esistono, e chi può governarla in una società terrà quella società in pugno.
    Allora dobbiamo imparare a guardarci dentro per liberarci da questa zavorra, perché noi occidentali viviamo nelle società più sicure che siano mai esistite, dove i pericoli sono ridotti al minimo e le nostre possibilità di dominarli sono al massimo. Eppure è come se fosse esattamente il contrario. Carlos, il paranoico e angosciato protagonista di questo romanzo, ha capito che esiste una sorta di «nevrotica spirale securitaria»: fa aumentare all'infinito la necessità di protezione, perché tutte le soluzioni individuate man mano non fanno che generare altra paura: come quando in casa si passa dalla serratura blindata al nuovo sistema d'allarme, quindi alle grate alle finestre, infine alle telecamere e all'allarme telefonico collegato - chiaramente - alla polizia, e via dicendo. Carlos sa che entrati in quella spirale si finisce per perdere più di ciò che si è guadagnato: tanta fiducia e tanto denaro. La qualità della vita precipita. Così il conto in banca.
    Più ancora, Carlos è riuscito a riconoscere l'esistenza di spazi che si configurano, semplicemente, come «luoghi della paura»: sono luoghi in cui non gli è mai successo niente, e niente dovrebbe accadergli. Ma quei luoghi sono stati fonte di ispirazione di tante finzioni creative, nei film o nei romanzi o nei videogiochi: ma la loro molto relativa pericolosità è stata, nel frattempo, ingigantita dai titoli dei giornali. Sono i parcheggi sotterranei, gli alberghi abbandonati, gli uffici chiusi, i sottopassaggi, le cantine: luoghi in cui «la solitudine, l'oscurità, la mancanza di testimoni fanno sì che chiunque possa essere rapinato, aggredito, cacciato, inseguito, colpito, accoltellato, strangolato, spinto sui binari, linciato, violentato, torturato, dissanguato, assassinato». Carlos ha capito che la paura tende a inglobare sempre nuovi territori, col passare del tempo: e che fa grande fatica a ritirarsi da quei territori. Nuovi territori e nuove forme, dunque: la fobia per la burocrazia, per tutti i guasti della macchina amministrativa statale. E così, tutte le volte che Carlos deve avere a che fare con un ufficio municipale, delle imposte o dell'assistenza sociale, «vi si reca con lo sguardo lucido e la voce nervosa di chi ha qualcosa da nascondere», preparandosi a essere sbaragliato.

    venerdì 7 gennaio 2011

    La ricorrenza indifferente

     

    Per un italiano ciò che appartiene a tutti, per il semplice fatto di non appartenere soltanto a lui, non appartiene a nessuno. Ci sono voluti quattordici secoli, dalla fine dell'Impero Romano all'Unità, per cucirci addosso questo atteggiamento mentale. Ne mancano quindi ancora dodici e mezzo per rimetterci in pari.

    Ma non è onesto affermare che rispetto al Centenario del 1961 lo spirito di Patria si sia affievolito. Il divario fra settentrionali e meridionali era molto più aspro cinquant'anni fa, e si manifestava nelle forme di una diffidenza razzista che non di rado trascendeva nell'ostilità. La differenza è che allora non c'erano, né a Nord né a Sud, partiti di massa disposti a cavalcarla. Ciò che l'emigrazione, i matrimoni e la tv hanno unito in questi decenni è stato in parte disfatto dalla politica, che ha sistematicamente eroso i simboli dell'unità nazionale, dalla Costituzione ai miti fondativi (esagerati ma autentici, come tutti i miti) del Risorgimento e della Resistenza. Come nel mondo capovolto di Alice, la Patria ha cessato di essere una parola di destra e si è spostata verso il centro, se non proprio a sinistra. Ma chiunque, a destra e a sinistra, intenda oggi fondare un partito, sostituisce le ideologie con le microappartenenze territoriali e vede quindi nella Patria tutta intera un inciampo. Sono i politici, non i cittadini, ad aver rimosso la ricorrenza del 2011.

    mercoledì 5 gennaio 2011

    Il pane del Signore


    Garantire a ogni cittadino la libertà di professare in privato e in pubblico la propria fede è ciò di cui ogni Stato di diritto dovrebbe farsi carico, ma per i cristiani l'eucarestia domenicale è ben di più di un gesto «pubblico»: è l'evento comunitario per eccellenza, è il luogo e il tempo che costituisce come tale una comunità cristiana. Non si tratta di avere uno spazio in cui potersi riunire o manifestare, un luogo e un giorno che potrebbero quindi variare di volta in volta per ragioni di sicurezza, ma di ritrovarsi nel «giorno del Signore» per celebrare la «cena del Signore», per riconoscersi comunità convocata dalla parola di Dio e chiamata a formare un corpo e un'anima sola. Per questo i cristiani, anche minacciati di morte, non rinunciano a ritrovarsi in chiesa come assemblea di credenti, come hanno ribadito i cristiani in Egitto e in Iraq in questi giorni. Non a caso già negli «Atti dei martiri» dei primi secoli troviamo testimonianze limpidissime in questo senso. Durante la persecuzione di Diocleziano (304 d. C.), al proconsole di Abitene - nell'odierna Tunisia - che lo accusava di aver ospitato nella sua casa assemblee domenicali cristiane contro l'editto dell'imperatore, il martire Emerito rispose: «Non potevo proibire loro di entrare in casa, perché senza l'eucaristia domenicale non possiamo esistere».

    È su questa consapevolezza del profondo legame tra fede personale ed espressione comunitaria del culto che si radica il cristianesimo: non su identità culturali reali o immaginarie, non su astratte convergenze di idee, ma sul vissuto quotidiano nella comunità dei credenti, sulla trasparenza di una testimonianza di fratellanza e di amore universale.

    Le nostre catene

    un nuovo modo di fare informazione mediatica, che ci restituisca la coscienza dei problemi sociali e di quelli di politica internazionale, scomparsi dalla nostra opinione pubblica.

     Egoismo-individualismo, ignoranza-disinformazione, nichilismo-immoralismo: queste sono le nostre catene.

    Se ce ne liberiamo subito, è già tardi.

    Se indugiamo, siamo finiti.

    La Parola nuova

    La politica avrebbe bisogno di nuove "metagore generative" non associabili al linguaggio vuoto della propaganda e capaci di suscitare un "ripensamento creativo". Solo così si esce dal tunnel dell'incomunicabilità per cui una cosa deve apparire giusta solo perché viene detta da una parte mentre quello che afferma l'alra parte è sempre sbagliato. Allo stesso tempo la politica dovrebbe tornare al linguaggio dell'essenzialità e della specializzazione, si parla di ciò che si sa, tutto il contrario dei "tuttologi" nostrani. Una conferma di quanto sia importante il linguaggio di rottura ci viene dall'esperienza dell'anno appena trascorso, il 2010 che ci stiamo apprestiando a salutare. Le novità in politica sono state rappresentate, su lidi opposti, da Gianfranco Fini e da Nichi Vendola. I due leader sono stati guardati con attenzione proprio perché hanno rivoluzionato il loro linguaggio.

     Fini discostandosi dagli stereotipi della destra becera, dal linguaggio canonico di una destra abituata a toni risolutivi, escludenti, apodittici e a volte apocalittici.

     

    Il successo di Vendola si deve anch'esso in gran parte alla sua rivoluzione comunicativa, basata sulla rinuncia ad abbassare il livello praticando una comunicazione complessa, che provoca l'opinione pubblica e "costringe" all'attenzione.

     

    Solo il terreno del linguaggio può aiutare la rinascita della politica dando risposte al bisogno di novità oltre le particelle linguistiche inservibili di ideologie usurate dal tempo e dalla storia. Se questo è il compito che la politica vorrà darsi, diventerà anche chiaro che la novità non risiede né nell'immagine, né nei nomi desunti dalla cosiddetta società civile, né nei giovani contrapposti ai vecchi.

    Il nuovo potrà nascere solo dal recupero di un linguaggio che mette in relazione uomini e donne attorno a uno scopo comune, abbandonando anacronistiche etichette.

    Solo così la politica potrà far maturare esperienza e conoscenza, tornando a unire e non più a dividere, superando il piano di una comunicazione politica bloccata al piano fragile delle apparenze.

    Solo percorrendo questa strada ardua ma non impossibile potremo tutti liberarci dell'errore di considerare il linguaggio berlusconiano il solo in grado di attivare una comunicazione vincente. È vero invece il contrario: Silvio Berlusconi non è stato un grande comunicatore, ma un grande affabulatore. E prigioniero della sua stessa narrazione, ha contribuito come nessun altro a distruggere il linguaggio della politica, il cui principale dovere è quello di partire da premesse vere per giungere a conclusioni accettabili.