Il coprifuoco non aveva spacciato la rivolta, gli stavano i giovani scalmanati rubando la capitale strada per strada, quartiere per quartiere, nonostante la repressione e i morti. E allora ieri sera, ore venti, è apparso in tv. I tunisini non lo avevano mai visto così, loro abituati da vent'anni al suo sorriso grifagno, alle sue mirabolanti promesse: gli occhi di un uomo in trappola che cerca febbrilmente una via di uscita, che annuncia che nel 2014 alla fine del mandato non si ripresenterà «perché sarà troppo vecchio», che, umile, predica la pace e annuncia che abbasserà i prezzi di latte e pane, che concederà la libertà di stampa e di accesso a Internet e punirà chi ha sparato sulla gente, chi l'ha «mal consigliato» in queste quattro settimane di rivoluzione. «Vi ho capito», ha concluso. Non accetteranno una vittoria rinviata, non transigeranno. Sanno che tre anni sono lunghi, che il presidente ha in serbo altri colpi bassi. Questa rivolta per ora assomiglia a una rivoluzione come la pornografia all'erotismo. Saccheggia certo, non alla cieca però. I magazzini e le ville della gente del Potere, come ad Hammamet, o i supermercati di un fratello di Leila, la moglie di Ben Ali, considerata capofila della cleptocrazia governativa. Un risultato l'ha già raggiunto, enorme: ha costretto il potere a essere esibito e crudele, quando finora la sua vera forza, la sua quintessenza consisteva nel tenersi nascosto e temperato, seppure corrotto e duraturo.
Il suo faccione si era appena spento sugli schermi e il centro di Tunisi è entrato in fregola. C'è il sospetto che fosse soltanto il suo popolo a celebrarlo, una manifestazione «spontanea» di regime per dimostrare che c'è una Tunisia che adora il suo presidente.
E gli altri, quelli che ancora ieri si sono battuti nelle strade, dove hanno lasciato altri morti? Per ora tacciono.
Per ora la realtà resta comunque quella della repressione. Il «lavoro» in strada perfezionato da una sbirraglia borbonica, senza segni distintivi se non il randello esibito al momento giusto, ciurma di nerboruti che scendono da autobus normali come se fossero pendolari e si confondono, in attesa di passare a salutari tecniche coattive, tra la folla, osservando, ascoltando, spiando. Sicché non sai se quello che ti sta davanti è davvero un passante o un poliziotto votato e consacrato ai castighi.
Picchiano duro, con metodo, sparano e uccidono.
Nella Tunisi della rivolta bisogna tener d'occhio i bar per sapere quando la battaglia, il subbuglio stanno per cominciare.
Dall'interno del bar, due finte bionde cinematografiche capaci di volgere gli occhi maschili e polizieschi nella loro direzione come fiori verso il sole, ringhiano biasimi, si avvelenano in deprecazioni. Giudicano la polizia moscia: «Picchiateli questi bastardi, che aspettate, sono la vergogna della Tunisia».
È la gioventù dorata, i termidoriani di Ben Ali. C'erano anche loro ieri sera con le auto di lusso a sfilare in Avenue Bourghiba.
venerdì 14 gennaio 2011
nonostante la repressione
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