domenica 16 gennaio 2011

Un tempo affascinante

A Tunisi è l'ora dei gattopardi, di quelli che mentre tutto sta mutando vogliono, sottilmente, tutto restaurare, far sì che lo scandalo mirifico di un popolo arabo, il primo, che ha costretto il tiranno a fuggire rientri nell'ordine antico, il «benalismo» senza Ben Ali. C'è sempre un passato regime, un passato governo, una passata amministrazione cui attribuire omissioni e nefandezze, dopo aver indotto il tiranno a decollare confidano di poterne uscire senza ammaccature e col potere intatto.

Lavorano in fretta, sanno di non avere molto tempo; adesso che la fantasia di questo povero popolo scorticato si è sfogata sarà difficile farla ritornare indietro. È una corsa che si gioca in 24, 48 ore forse. I gattopardi del ventennio tunisino, i ras, i notabili, gli uomini di affari, la borghesia grossa dei sazi contro la grande onda che si è alzata dalla strada. È un tempo affascinante e sospeso: la storia della Tunisia nuova che c'è, che vibra, scorre davanti a noi come il fiume di Eraclito. Ma è tempo tortuoso e di tortuose e ambigue reversibilità, ricatti e riscatti.

Ma quelli che ancora comandano e sceglieranno l'avvenire appartengono a prima del diluvio.

Come i partiti di opposizione che dovrebbero entrare nel governo di transizione e organizzare entro 60 giorni elezioni libere: erano, loro, a libro paga del regime, ingrassati con stipendi seggi e carriere.

Ma non ce ne sono altri, i veri oppositori escono, stravolti, intontiti, da esilio e galera, non hanno sedi, mezzi, sono facce sconosciute.

Due immagini, semplici, con l'avvertenza che questa è una realtà dove ancora «buoni» e «cattivi» si mescolano e si confondono.


La prima. I ritratti di Ben Ali, la mano sul cuore, il sorriso da seduttore arrogante, giganteggiano ancora ovunque nelle strade della capitale, presidiati dai carri armati dello stato di emergenza. Stramberia? Dimenticanza? No, è la prova che nulla è deciso, che nessuno lo ha abolito anche se ormai c'è un nuovo presidente.

Fin che i ritratti saranno lì, il benalismo non sarà cancellato.


Il Potere nel Maghreb è soprattutto una faccia. Per abolirlo non bastano i documenti, bisogna umiliarlo iconologicamente, a fucilate, lordandolo di pietre, di vernice, bisogna scalpellarlo o almeno scialbarlo nei trivi, nelle bettole, nelle aule. Come si è fatto per Mussolini e Ceausescu, Siad Barre e Papa Doc. Questa rivoluzione ha dei martiri, ma non ha ancora una immagine simbolo, che sia il centro, il luogo geometrico della sua esistenza, che ne dica la storia.

Per questo la gente attende ancora prima di schierarsi. Perché ha una memoria per così dire proustiana del recente passato. Ha visto in televisione il primo ministro, Ghannoiui, venti anni a fianco di Ben Ali, maggiordomo obbediente, e al suo fianco un'altra faccia nota, Kallel, ex ministro degli Interni, le braccia ancora intinte fino al gomito nella repressione. Annunciavano, loro, imperturbabili, elezioni, e la partenza definitiva di Ben Ali.

Allora i ragazzi dell'Intifada tunisina si sono chiesti: è questo il cambiamento? Ci siamo azzuffati per nulla e contro il nulla?
La seconda immagine, è la copertina di un giornale, specchio, sintesi, fusione, per cosi dire, raffinazione dell'ottimismo e della speranza, saggia, non impertinente e sprovveduta. È Le quotidien uno dei pochi ieri in edicola; titolo La volontà del popolo trionfa, e via di seguito senza respiro per nove pagine di prove dell'era nuova e della brutalità poliziesca.

Se dici al redattore capo Kamel Zaiem «complimenti avete coraggio», ti risponde: «No, per essere davvero coraggiosi quel giornale avremmo dovuto pubblicarlo il giorno prima, quando nulla era ancora cambiato». I gattopardi stiano attenti al ribollire della lava. Il privilegio di una rivoluzione è di non permettere a nessuno di decidere che è finita.

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