Forse val la pena ricordare alcuni dati resi noti pochi giorni fa dall'Istat e passati quasi sotto silenzio: in Italia una donna su due non lavora e non cerca lavoro. Donne semplicemente «inattive». Si tratta di un tasso di inattività che supera quello di tutti gli altri 26 Paesi europei (con l'esclusione di Malta, se questo può consolare). Specularmente, le donne «attive» sono il 46,3%, un dato che fa vergognare di fronte al 66,2% della Germania, al 60% della Francia, per non parlare del 71,5% dei Paesi Bassi. Perché le donne in Italia non si mettono nemmeno alla prova? Preferiscono veramente altre strade di realizzazione personale (maternità e famiglia, per esempio) o rinunciano a priori perché consapevoli di un Paese in cui i loro sforzi e i loro sacrifici non verranno riconosciuti e non incontreranno gratificazioni né nel settore pubblico né in quello privato?
L'ultimo rapporto del World Economic Forum sulla parità di genere nel mondo del lavoro e delle imprese ci pone al 74° posto, dopo Malawi, Ghana e Tanzania, per fare alcuni esempi. A far scendere il nostro Paese nella classifica è soprattutto la scarsa performance sul fronte delle opportunità di lavoro e di carriera. Una difficoltà legata, secondo i risultati dell'indagine, ad una carenza di servizi di supporto (come gli asili), ma anche alla mancanza di modelli femminili di riferimento e ad un clima generale molto maschilista
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