mercoledì 5 gennaio 2011

La Parola nuova

La politica avrebbe bisogno di nuove "metagore generative" non associabili al linguaggio vuoto della propaganda e capaci di suscitare un "ripensamento creativo". Solo così si esce dal tunnel dell'incomunicabilità per cui una cosa deve apparire giusta solo perché viene detta da una parte mentre quello che afferma l'alra parte è sempre sbagliato. Allo stesso tempo la politica dovrebbe tornare al linguaggio dell'essenzialità e della specializzazione, si parla di ciò che si sa, tutto il contrario dei "tuttologi" nostrani. Una conferma di quanto sia importante il linguaggio di rottura ci viene dall'esperienza dell'anno appena trascorso, il 2010 che ci stiamo apprestiando a salutare. Le novità in politica sono state rappresentate, su lidi opposti, da Gianfranco Fini e da Nichi Vendola. I due leader sono stati guardati con attenzione proprio perché hanno rivoluzionato il loro linguaggio.

 Fini discostandosi dagli stereotipi della destra becera, dal linguaggio canonico di una destra abituata a toni risolutivi, escludenti, apodittici e a volte apocalittici.

 

Il successo di Vendola si deve anch'esso in gran parte alla sua rivoluzione comunicativa, basata sulla rinuncia ad abbassare il livello praticando una comunicazione complessa, che provoca l'opinione pubblica e "costringe" all'attenzione.

 

Solo il terreno del linguaggio può aiutare la rinascita della politica dando risposte al bisogno di novità oltre le particelle linguistiche inservibili di ideologie usurate dal tempo e dalla storia. Se questo è il compito che la politica vorrà darsi, diventerà anche chiaro che la novità non risiede né nell'immagine, né nei nomi desunti dalla cosiddetta società civile, né nei giovani contrapposti ai vecchi.

Il nuovo potrà nascere solo dal recupero di un linguaggio che mette in relazione uomini e donne attorno a uno scopo comune, abbandonando anacronistiche etichette.

Solo così la politica potrà far maturare esperienza e conoscenza, tornando a unire e non più a dividere, superando il piano di una comunicazione politica bloccata al piano fragile delle apparenze.

Solo percorrendo questa strada ardua ma non impossibile potremo tutti liberarci dell'errore di considerare il linguaggio berlusconiano il solo in grado di attivare una comunicazione vincente. È vero invece il contrario: Silvio Berlusconi non è stato un grande comunicatore, ma un grande affabulatore. E prigioniero della sua stessa narrazione, ha contribuito come nessun altro a distruggere il linguaggio della politica, il cui principale dovere è quello di partire da premesse vere per giungere a conclusioni accettabili.

1 commento:

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